domenica 30 marzo 2008

Scandalo a Gela: Crocetta, primo sindaco omosessuale dichiarato della storia d'Italia Padrino in un Battesimo!

Apprendiamo con stupore e biasimo che nella parrocchia Santa Lucia di Gela, e nella nostra diocesi, quella di Piazza Armerina, ci si è dimenticati del fondamentale ruolo del Padrino nel Sacramento del Battesimo.
Su La Sicilia del 25 marzo 2008 viene dato risalto al primo Battesimo celebrato nella summenzionaca parrocchia.
L'articolo è titolato: PADRINO IL SINDACO CROCETTA. Celebrato il primo battesimo nella chiesa di Santa Lucia.
Nulla contro gli omosessuali, ma il codice di diritto canonico al Can. 874,§1, n.3 recita espressamente che per essere ammesso all'incarico di padrino, è necessario che "sia cattolico, abbia già ricevuto la confermazione, il santissimo sacramento dell'Eucaristia e conduca una vita conforme alla fede e all'incarico che assume".
L'articolo evidenzia che si tratta del primo Battesimo, un "Battesimo comunista dalla testa ai piedi, con falce, martello e.... croce in una notte particolare per i fedeli di Santa Lucia ed il parroco don Luigi Petralia."
Anche qui nella diocesi di Piazza Armerina si sono dimenticati della Divini Redemptoris...
Che dire l'articolo parla da solo...ci sembra tanto assurdo, quanto normale scegliere il padrino di Battesimo in virtù della lotta alla mafia.
Non perchè la lotta alla mafia sia un qualcosa di superfluo - e chi come noi vive in Sicilia sa cosa comporta la presenza di un parassita, di un para-stato che condiziona, rovina la vita di innocenti, di lavoratori, di intere famiglie - ma perchè la scelta del Padrino appartiene a tutt'altro piano.
Secondo il codice di diritto canonico, il compito del padrino dovrebbe esser quello di "assistere il battezzando adulto nell'iniziazione cristiana, e presentare al battesimo con i genitori il battezzando bambino e parimenti cooperare affinché il battezzando conduca una vita cristiana conforme al battesimo e adempia fedelmente gli obblighi ad esso inerenti".
Il sindaco Crocetta ha ben lavorato a Gela, vive sottoscorta, ma come potrà sostenere e guidare la crescita nell'unica Fede il proprio figlioccio se è proprio lui a non crederci??!
Come al solito saremo tacciati per gli inquisitori, gli anacronistici, i soliti giovani di Mazzarino...nulla è successo in diocesi in questi giorni, nessuno ha evidenziato una tal "malfatta", forse è vero la nostra diocesi è indifferente, si preoccupa soltanto di eventi civili, niente di sacro, niente di trascendente!
Ci chiediamo il perchè dell'inerzia del nostro caro Vescovo, vorremmo pensare che mons. Pennisi non sappia nulla ma ci sembra altamente improbabile.
Non ci resta che pregare, ma pregare con fiducia, con la certezza che ancora per poco tali disordini sarano permessi!!!
Cor Jesu, adveniat Regnum tuum... Adveniat per Mariam!

sabato 29 marzo 2008

Dubbi su Chiara Lubich la meraviglia del terzo millennnio

articolo tratto da www.effedieffe.com

Una lettrice, che ringraziamo, ci manda una sua breve riflessione su Chiara Lubich, speculare a quella del nostro editore in occasione della morte di Papa Wojtyla [(vedi «Se il mondo vi odia»); chi detiene il quasi monopolio dell’informazione, condizionando col ricatto della pubblicità e della distribuzione la piccola parte rimasta fuori, stabilisce la notorietà o l’anonimato dei personaggi e la loro popolarità o impopolarità]; la pubblichiamo in attesa di ulteriori approfondimenti.


Dubbi su Chiara Lubich la meraviglia del terzo millennnio

Sono stati funerali da vero trionfo, come tutta la sua vita, quella di Chiara Lubich, la fondatrice dei Focolarini, una vita di una «escalation» umana, spirituale, carismatica, ecc. degna dei più grandi manager, sempre condotta all’insegna del successo, del trionfo, dell’applauso, dell’ammirazione a tal punto che sembra doveroso fermarsi per riflettere ed esprimere qualche seria perplessità.
Perplessità che, appena si osa timidamente esporre, viene travolta dalla retorica, classica risposta che ti tappa la bocca: «Allora vuol dire che sei invidiosa».
Ebbene, sì!
Concedetemi la sincerità e la trasparenza.

Come si fa a non essere invidiosi di una vita cristiana così impegnata, condotta sempre e costantemente all’insegna del trionfo, del successo, delle immense folle plaudenti di qualsivoglia razza, popolo e religione, una vita davanti alla quale si inchinano umilmente come figli spirituali e devoti, non solo comuni laici, ma anche preti, suore, vescovi, cardinali, dichiarandosi tutti umili discepoli di una donna così eccezionale che ha portato alla Chiesa un rinnovamento di tale portata! Quale rinnovamento, viene da domandarsi?
Dove si possono riscontrare i frutti di questa spiritualità così ostentata che mai ha trovato alcuna contraddizione, alcun intoppo, alcuna calunnia, ma che è stata tutta una escalation di successo?

Le nostre sante martiri cristiane, Agata, Lucia, Cecilia, Agnese, nemmeno le più recenti che non hanno subito il martirio, Teresina del Bambin Gesù, Gemma Galvani, Caterina da Siena, Edith Stein, Madre Teresa di Calcutta, ecc., tutte segnate comunque dalla croce, dalle prove anche esterne della vita, da una umiltà straordinaria, sono nulla al suo confronto.
Anche i nostri santi diventati tali attraverso persecuzioni e contraddizioni previste dallo stesso Cristo per i suoi figli fedeli «come hanno perseguitato me, così perseguiteranno anche voi» (Giovanni15,18 - Matteo 10,16 - Marco 10,29 - Luca 11,49), sono ormai fuori moda davanti alla grandezza di Chiara Lubich, che propone un nuovo modello di santità all’insegna del successo ottenuto a forza di livellare tutte le differenze per vivere l’uguaglianza, in modo da piacere a tutti, non dispiacere a nessuno, e privilegiare l’unità rispetto a qualunque altro carisma, anche fondazionale.

Ci si domanda, infatti, quale altra spiritualità, oltre al proprio carisma fondazionale può ricavare da questa proposta, ad esempio, una vera suora domenicana, un vero frate francescano, un vero figlio di San Camillo, un vero Gesuita, un illustre vescovo o cardinale teologo di Santa Romana Chiesa?
Forse quello di riconoscersi tutti uniti, tutti fratelli, nelle «mega-mariapoli focolarine» che hanno il potere di «gasare» anche i cuori più demotivati a forza di canti e di incitamenti, livellando e omologando tutti i carismi a tal punto da ignorare non solo le differenze peculiari che caratterizzano un Carmelitano da un Legionario di Cristo, ad esempio, ma perfino le ben più profonde differenze dottrinali, teologiche e dogmatiche che distinguono un cattolico da un luterano, un cristiano da un musulmano, un induista da un buddista, il Dalai Lama dal Papa, ecc.

Tutto viene livellato in questa fantastica spiritualità pluri-ecumenica, dove tutti possono far parte dello stesso «calderone spirituale» nel quale vengono «purificate» e passate al crogiuolo le differenze specifiche che rappresentano l’unico motivo di rottura con la tanto conclamata «unità» voluta da Chiara Lubich, per essere tutti, indistintamente rivestiti dell’unica tunica ecumenica, ad una sola condizione: «Che si vogliano bene in cuor loro, che siano uniti dall’amore» a tal punto che questo desiderio li rende degni di ricevere lo stesso Cristo nell’Ostia Santa, senza distinzione alcuna, perché ciascuno è libero di continuare a professare la propria fede nella propria religione!

Altro non voglio aggiungere, e se i fatti mi devono smentire, ben vengano.
Li terrò nella dovuta considerazione prima di decidermi a far parte dello stesso coro belante e osannante.

Patrizia Stella

Rito tridentino, la soddisfazione del Cardinale Castrillon Hoyos: “Il Motu Proprio sta facendo rientrare molti lefebvriani”

www.papanews.it
CITTA’ DEL VATICANO - Grazie al motu proprio di Benedetto XVI sulla Messa in latino ''non pochi'' lefebvriani hanno chiesto il ritorno alla piena comunione e alcuni sono gia' tornati nella Chiesa Cattolica. Lo rivela l'Osservatore Romano, che pubblica un'intervista al Cardinale Dario Castrillon Hoyos (nella foto), Presidente della Commissione ‘Ecclesia Dei’ che segue le procedure per i rientri. ''In Spagna - elenca il porporato - l'Oasi di Gesu' Sacerdote, un intero monastero di clausura con trenta suore guidate dal loro fondatore, e' stato riconosciuto e regolarizzato dalla Pontificia Commissione; poi ci sono casi di gruppi americani, tedeschi e francesi in via di regolarizzazione. Infine ci sono singoli sacerdoti e parecchi laici che ci contattano, ci scrivono e ci chiamano per una riconciliazione''. Inoltre ''ci sono tanti altri fedeli che manifestano la loro gratitudine al Papa e il compiacimento per il motu proprio''. ''Infine - ha aggiunto Castrillon Hoyos - ci sono alcuni sacerdoti della Fraternita' San Pio X che, singolarmente, stanno cercando di regolarizzare la loro posizione. Alcuni di loro hanno gia' sottoscritto la formula di adesione. E siamo informati che ci sono fedeli laici tradizionalisti, vicini alla Fraternita', che hanno cominciato a frequentare le Messe nel rito antico offerte nelle Chiese delle Diocesi''. In proposito, il porporato ha ricordato che ''la scomunica riguarda solo i quattro vescovi, perche' ordinati senza il mandato del Papa e contro la sua volonta', mentre i sacerdoti sono solamente sospesi''. Infatti, ha concluso, ''la Messa che celebrano e' senza dubbio valida, ma non lecita e, quindi, la partecipazione non e' consigliata, a meno che nella Domenica non ci siano altre possibilita''' ma ''ne' i sacerdoti, ne' i fedeli sono scomunicati''.

giovedì 20 marzo 2008

"Il sacerdote deve essere una persona retta, vigilante, una persona che sta dritta, impavido e disposto ad incassare per il Signore anche oltraggi"


OMELIA DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELLA SANTA MESSA DEL CRISMA NELLA BASILICA VATICANA, 20.03.2008


Cari fratelli e sorelle,

ogni anno la Messa del Crisma ci esorta a rientrare in quel „sì” alla chiamata di Dio, che abbiamo pronunciato nel giorno della nostra Ordinazione sacerdotale.

“Adsum – eccomi!”, abbiamo detto come Isaia, quando sentì la voce di Dio che domandava: “Chi manderò e chi andrà per noi?” “Eccomi, manda me!”, rispose Isaia (Is 6, 8). Poi il Signore stesso, mediante le mani del Vescovo, ci impose le mani e noi ci siamo donati alla sua missione. Successivamente abbiamo percorso parecchie vie nell’ambito della sua chiamata. Possiamo noi sempre affermare ciò che Paolo, dopo anni di un servizio al Vangelo spesso faticoso e segnato da sofferenze di ogni genere, scrisse ai Corinzi: “Il nostro zelo non vien meno in quel ministero che, per la misericordia di Dio, ci è stato affidato” (cfr 2 Cor 4, 1)? “Il nostro zelo non vien meno”.
Preghiamo in questo giorno, affinché esso venga sempre riacceso, affinché venga sempre nuovamente nutrito dalla fiamma viva del Vangelo.

Allo stesso tempo, il Giovedì Santo è per noi un’occasione per chiederci sempre di nuovo: A che cosa abbiamo detto “sì”? Che cosa è questo “essere sacerdote di Gesù Cristo”? Il Canone II del nostro Messale, che probabilmente fu redatto già alla fine del II secolo a Roma, descrive l’essenza del ministero sacerdotale con le parole con cui, nel Libro del Deuteronomio (18, 5. 7), veniva descritta l’essenza del sacerdozio veterotestamentario: astare coram te et tibi ministrare.

Sono quindi due i compiti che definiscono l’essenza del ministero sacerdotale: in primo luogo lo “stare davanti al Signore”.

Nel Libro del Deuteronomio ciò va letto nel contesto della disposizione precedente, secondo cui i sacerdoti non ricevevano alcuna porzione di terreno nella Terra Santa – essi vivevano di Dio e per Dio. Non attendevano ai soliti lavori necessari per il sostentamento della vita quotidiana.
La loro professione era “stare davanti al Signore” – guardare a Lui, esserci per Lui. Così, in definitiva, la parola indicava una vita alla presenza di Dio e con ciò anche un ministero in rappresentanza degli altri. Come gli altri coltivavano la terra, della quale viveva anche il sacerdote, così egli manteneva il mondo aperto verso Dio, doveva vivere con lo sguardo rivolto a Lui. Se questa parola ora si trova nel Canone della Messa immediatamente dopo la consacrazione dei doni, dopo l’entrata del Signore nell’assemblea in preghiera, allora ciò indica per noi lo stare davanti al Signore presente, indica cioè l’Eucaristia come centro della vita sacerdotale. Ma anche qui la portata va oltre. Nell’inno della Liturgia delle Ore che durante la quaresima introduce l’Ufficio delle Letture – l’Ufficio che una volta presso i monaci era recitato durante l’ora della veglia notturna davanti a Dio e per gli uomini – uno dei compiti della quaresima è descritto con l’imperativo: arctius perstemus in custodia – stiamo di guardia in modo più intenso.

Nella tradizione del monachesimo siriaco, i monaci erano qualificati come “coloro che stanno in piedi”; lo stare in piedi era l’espressione della vigilanza.

Ciò che qui era considerato compito dei monaci, possiamo con ragione vederlo anche come espressione della missione sacerdotale e come giusta interpretazione della parola del Deuteronomio: il sacerdote deve essere uno che vigila.

Deve stare in guardia di fronte alle potenze incalzanti del male. Deve tener sveglio il mondo per Dio. Deve essere uno che sta in piedi: dritto di fronte alle correnti del tempo. Dritto nella verità. Dritto nell’impegno per il bene. Lo stare davanti al Signore deve essere sempre, nel più profondo, anche un farsi carico degli uomini presso il Signore che, a sua volta, si fa carico di tutti noi presso il Padre. E deve essere un farsi carico di Lui, di Cristo, della sua parola, della sua verità, del suo amore. Retto deve essere il sacerdote, impavido e disposto ad incassare per il Signore anche oltraggi, come riferiscono gli Atti degli Apostoli: essi erano “lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù” (5, 41).

Passiamo ora alla seconda parola, che il Canone II riprende dal testo dell’Antico Testamento – “stare davanti a te e a te servire”.

Il sacerdote deve essere una persona retta, vigilante, una persona che sta dritta. A tutto ciò si aggiunge poi il servire. Nel testo veterotestamentario questa parola ha un significato essenzialmente rituale: ai sacerdoti spettavano tutte le azioni di culto previste dalla Legge.

Ma questo agire secondo il rito veniva poi classificato come servizio, come un incarico di servizio, e così si spiega in quale spirito quelle attività dovevano essere svolte. Con l’assunzione della parola “servire” nel Canone, questo significato liturgico del termine viene in un certo modo adottato – conformemente alla novità del culto cristiano. Ciò che il sacerdote fa in quel momento, nella celebrazione dell’Eucaristia, è servire, compiere un servizio a Dio e un servizio agli uomini.

Il culto che Cristo ha reso al Padre è stato il donarsi sino alla fine per gli uomini. In questo culto, in questo servizio il sacerdote deve inserirsi. Così la parola “servire” comporta molte dimensioni. Certamente ne fa parte innanzitutto la retta celebrazione della Liturgia e dei Sacramenti in genere, compiuta con partecipazione interiore. Dobbiamo imparare a comprendere sempre di più la sacra Liturgia in tutta la sua essenza, sviluppare una viva familiarità con essa, cosicché diventi l’anima della nostra vita quotidiana.

È allora che celebriamo in modo giusto, allora emerge da sé l’ars celebrandi, l’arte del celebrare. In quest’arte non deve esserci niente di artefatto. Deve diventare una cosa sola con l’arte del vivere rettamente. Se la Liturgia è un compito centrale del sacerdote, ciò significa anche che la preghiera deve essere una realtà prioritaria da imparare sempre di nuovo e sempre più profondamente alla scuola di Cristo e dei santi di tutti i tempi. Poiché la Liturgia cristiana, per sua natura, è sempre anche annuncio, dobbiamo essere persone che con la Parola di Dio hanno familiarità, la amano e la vivono: solo allora potremo spiegarla in modo adeguato. “Servire il Signore” – il servizio sacerdotale significa proprio anche imparare a conoscere il Signore nella sua Parola e a farLo conoscere a tutti coloro che Egli ci affida.

Fanno parte del servire, infine, ancora due altri aspetti. Nessuno è così vicino al suo signore come il servo che ha accesso alla dimensione più privata della sua vita. In questo senso “servire” significa vicinanza, richiede familiarità.

Questa familiarità comporta anche un pericolo: quello che il sacro da noi continuamente incontrato divenga per noi abitudine. Si spegne così il timor riverenziale. Condizionati da tutte le abitudini, non percepiamo più il fatto grande, nuovo, sorprendente, che Egli stesso sia presente, ci parli, si doni a noi. Contro questa assuefazione alla realtà straordinaria, contro l’indifferenza del cuore dobbiamo lottare senza tregua, riconoscendo sempre di nuovo la nostra insufficienza e la grazia che vi è nel fatto che Egli si consegni così nelle nostre mani.

Servire significa vicinanza, ma significa soprattutto anche obbedienza. Il servo sta sotto la parola: “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà!” (Lc 22, 42).

Con questa parola, Gesù nell’Orto degli ulivi ha risolto la battaglia decisiva contro il peccato, contro la ribellione del cuore caduto. Il peccato di Adamo consisteva, appunto, nel fatto che egli voleva realizzare la sua volontà e non quella di Dio.

La tentazione dell’umanità è sempre quella di voler essere totalmente autonoma, di seguire soltanto la propria volontà e di ritenere che solo così noi saremmo liberi; che solo grazie ad una simile libertà senza limiti l’uomo sarebbe completamente uomo, diventerebbe divino. Ma proprio così ci poniamo contro la verità.

Poiché la verità è che noi dobbiamo condividere la nostra libertà con gli altri e possiamo essere liberi soltanto in comunione con loro. Questa libertà condivisa può essere libertà vera solo se con essa entriamo in ciò che costituisce la misura stessa della libertà, se entriamo nella volontà di Dio.

Questa obbedienza fondamentale che fa parte dell’essere uomini, diventa ancora più concreta nel sacerdote: noi non annunciamo noi stessi, ma Lui e la sua Parola, che non potevamo ideare da soli. Non inventiamo la Chiesa così come vorremmo che fosse, ma annunciamo la Parola di Cristo in modo giusto solo nella comunione del suo Corpo. La nostra obbedienza è un credere con la Chiesa, un pensare e parlare con la Chiesa, un servire con essa.

Rientra in questo sempre anche ciò che Gesù ha predetto a Pietro: “Sarai portato dove non volevi”. Questo farsi guidare dove non vogliamo è una dimensione essenziale del nostro servire, ed è proprio ciò che ci rende liberi. In un tale essere guidati, che può essere contrario alle nostre idee e progetti, sperimentiamo la cosa nuova – la ricchezza dell’amore di Dio.
“Stare davanti a Lui e servirLo”: Gesù Cristo come il vero Sommo Sacerdote del mondo ha conferito a queste parole una profondità prima inimmaginabile. Egli, che come Figlio era ed è il Signore, ha voluto diventare quel servo di Dio che la visione del Libro del profeta Isaia aveva previsto. Ha voluto essere il servo di tutti. Ha raffigurato l’insieme del suo sommo sacerdozio nel gesto della lavanda dei piedi. Con il gesto dell’amore sino alla fine Egli lava i nostri piedi sporchi, con l’umiltà del suo servire ci purifica dalla malattia della nostra superbia. Così ci rende capaci di diventare commensali di Dio. Egli è disceso, e la vera ascesa dell’uomo si realizza ora nel nostro scendere con Lui e verso di Lui. La sua elevazione è la Croce. È la discesa più profonda e, come amore spinto sino alla fine, è al contempo il culmine dell’ascesa, la vera “elevazione” dell’uomo.

“Stare davanti a Lui e servirLo” – ciò significa ora entrare nella sua chiamata di servo di Dio. L’Eucaristia come presenza della discesa e dell’ascesa di Cristo rimanda così sempre, al di là di se stessa, ai molteplici modi del servizio dell’amore del prossimo.

Chiediamo al Signore, in questo giorno, il dono di poter dire in tal senso nuovamente il nostro “sì” alla sua chiamata: “Eccomi. Manda me, Signore” (Is 6, 8). Amen.

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sabato 15 marzo 2008

Messa in latino, la proposta del Cardinale Medina Estévez: “Celebrare con i libri di San Pio V e il lezionario del Novus Ordo”

di Bruno Volpe
www.papanews.it

CITTA’ DEL VATICANO - Continua a tenere banco il Motu Proprio ‘Summorum Pontificum’ con cui il Santo Padre Benedetto XVI, a partire dallo scorso 14 Settembre, ha concesso ai fedeli legati alla gloriosa tradizione della Chiesa di accedere più facilmente, malgrado l’ostruzionismo ingiustificato di una fetta consistente del clero cosiddetto ‘progressista’, alla celebrazione della Messa ‘tridentina’ secondo i libri liturgici di San Pio V parzialmente riformati negli anni ’60 dal Beato Giovanni XXIII. Tra i sostenitori più convinti dell’iniziativa del Papa, il Cardinale cileno Jorge Arturo Medina Estévez (nella foto), Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti dal 1998 al 2002, il porporato che con il suggestivo ‘Habemus Papam’ annunciò ai fedeli presenti in Piazza San Pietro e al mondo intero, il 19 Aprile del 2005, l’elezione di Benedetto XVI. ‘Petrus’ lo ha rintracciato e intervistato in esclusiva in Cile.

Eminenza, qualcuno continua a storcere il naso, all’interno stesso della Chiesa, per il Motu Proprio ‘Summorum Pontificum…

"Purtroppo è vero, ma è altrettanto doveroso ricordare che la Messa secondo il rito di San Pio V non è stata mai abolita e pur essendo considerata attualmente ‘straordinaria’, ha lo stesso diritto di cittadinanza nella Chiesa e la stessa dignità del ‘Novus Ordo’ di Paolo VI. Tuttavia, è bene ricordare ai Vescovi che si sono dichiarati contrari al Motu Proprio di Benedetto XVI, che sono perfettamente liberi di esprimere la loro opinione civilmente, ma che, in definitiva, sono tenuti all’obbedienza e al rispetto nei confronti del Papa, che è l’unico Pastore universale di Santa Romana Chiesa. Il resto sono polemiche sterili per coloro stessi che le innescano”.

C’è chi, come il Cardinale Carlo Maria Martini, riferendosi al rito antico, ha parlato di ‘senso di chiuso’...

“Personalmente, ho sempre celebrato Messa con i libri liturgici di San Pio V - cui sono particolarmente affezionato -, e questo senso di chiuso non l’ho mai avvertito. Anzi, le dirò mi hanno fatto buona compagnia sin dalla mia ordinazione sacerdotale".

Sarà che il rito tridentino garantisce solennità, sobrietà, mistero.

"Questo è innegabile. La Santa Messa, del resto, deve essere sobria ed elegante, alla ricerca del Trascendente, perchè rappresenta il Sacrificio per eccellenza di Cristo morto e risorto per noi”.

Con la Messa in lingua nazionale, che indubbiamente non ha la stessa solennità di quella in latino di San Pio V, si assiste ad abusi liturgici impressionanti.

“E invece la liturgia deve mantenere decoro e rigore, senza svolazzi o invenzioni, evitando spettacoli e invenzioni che, purtroppo, Lei ha pienamente ragione, oggi sono sempre più frequenti. Per risolvere questo problema, basterebbe rendersi conto che il vero protagonista della Messa è sempre e solo Cristo e mai il sacerdote".

Molti accusano il Concilio Vaticano II di non aver dettato una linea precisa rispetto alla liturgia.

"La colpa non è del Vaticano II in sè, ma di alcuni suoi interpreti troppo esuberanti che hanno fatto credere che si dovessero rompere le righe in materia”.

Eminenza, Lei cosa apprezza maggiormente della Messa in latino di San Pio V?

"Direi la sobrietà, l’elegante raffinatezza. E, certamente, l'alta dote di trascendenza, la continua ricerca di Dio. Ma questo, sia chiaro, non significa che io sia contro il ‘Novus Ordo’. A dire il vero, considero il lezionario del ‘Novus Ordo’ addirittura più ricco di contenuti rispetto a quello del rito di San Pio V, quindi approfitto dello spazio che mi concedete per lanciare un'idea…".

Ci dica, Cardinale.

"Per chiudere definitivamente ogni discussione sull’argomento, si potrebbe trovare una via di mezzo, un accordo a metà strada, consentendo la celebrazione Eucaristica con l'ordinario della Messa secondo i libri di San Pio V e con il lezionario del ‘Novus Ordo’. Voi di ‘Petrus’, che è un quotidiano on-line, provate a vedere cosa ne pensano i frequentatori di Siti Internet e blog cattolici; penso sia un’idea valida che possa essere presa in seria considerazione anche da chi è più in alto di me…”.

Cardinale, Messa di San Pio V vuol dire anche, e non solo, Messa in latino: inevitabile il pensiero al canto gregoriano…

"Quello gregoriano è il vero canto della Chiesa - inutile girarci tanto attorno - perché racchiude l'idea di comunità. Pensi che un genio della musica come Mozart si lamentava, a un certo punto della sua vita, di non aver scoperto il gregoriano".

In conclusione, Eminenza, cosa pensa invece dellla Comunione nelle mani?

"So che anche su questo tema è in atto una certa polemica. Personalmente, sono favorevole alla Comunione nella bocca, e ciò sia per evitare i problemi di caduta della particola che di sottrazione della stessa da parte di satanisti o fedeli ‘esaltati’. Per carità, è doveroso ricordare che la Comunione si iniziò a dare nelle mani sin dalla nascita della Chiesa e che la bocca - per chi ne fa una questione, diciamo, di ‘igiene’ pratica e spirituale - non è meno impura delle mani. Ma, lo ripeto, io continuo ad essere per la Comunione nella bocca".

sabato 1 marzo 2008

Ratzinger: la liturgia cattolica è in pericolo

di Andrea Tornielli

La liturgia della Chiesa cattolica è minacciata dalla "creatività" di quei sacerdoti e di quelle comunità che la modificano a loro piacimento e arrivano talvolta al punto di trasformate la Messa in uno show. C'è il rischio di non sapere più in che cosa consista la liturgia cattolica. A lanciare l'allarme, ancora una volta, è il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Il porporato bavarese, va precisato subito a scanso di equivoci, non ha particolari simpatie per i "lefebvriani", non è un tradizionalista nostalgico dell'antico messale, non vuole ribaltare nuovamente gli altari per tornare all' epoca preconciliare. Le sue parole, pubblicate ieri dal quotidiano cattolico francese "La Croix" in una lunga intervista intitolata "I pericoli che oggi minacciano la liturgia", assumono dunque un'importanza particolare. "Tante persone - ha detto il cardinale - si lamentano oggi del fatto che non ci siano più due messe uguali una all'altra, tanto da arrivare al punto di domandarsi se esista ancora

una liturgia cattolica. Questo punto di vista - precisa - è senz'altro esagerato, ma il pericolo c'è. Da qui il mio appello: liberiamoci di noi stessi, e abbandoniamoci a una realtà più grande".

Preoccupazione crescente

Negli ultimi anni le dichiarazioni di Ratzinger sulla crisi della liturgia sono state un crescendo. Già nell'autobiografia (La mia vita, 1997), il porporato aveva scritto: "Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita come se in essa non importasse più se Dio c'è e se ci parla e ci ascolta". Nel libro Introduzione allo spirito della liturgia (2001), interamente dedicato a questo argomento, il cardinale aveva fatto osservare che nelle celebrazioni postconciliari "Il sacerdote - o il "presidente" come si preferisce chiamarlo - diventa il vero e proprio punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. È lui che bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde; è la sua creatività a sostenere l'insieme della celebrazione". "L'attenzione - commentava con una punta di amarezza - è sempre meno rivolta a Dio". Nell'ultimo libro-intervista con il giornalista tedesco Peter Seewald (Dio e il mondo, 2001), Ratzinger è tornato a criticare gli abusi della riforma postconciliare, chiedendo ai confratelli vescovi di essere più tolleranti con i fedeli che chiedono la Messa col vecchio rito come previsto dall'indulto di Papa Wojtyla.

La "riforma della riforma"

Il prefetto della dottrina della fede non intende, con questi interventi, proporre la cancellazione la riforma scaturita dal concilio Vaticano II. Desidera invece far nascere un movimento liturgico dal basso, condiviso, per far comprendere che la liturgia non è solo una componente rituale ma un elemento centrale della Chiesa cattolica e della vita cristiana, in grado di avvicinare i fedeli all'unità con Dio e la sua opera universale. Per questo, a trent'anni dall'entrata in vigore della nuova Messa, propone una lenta e parziale correzione di rotta, da lui ribattezzata "riforma della riforma", che, lungi da buttare tutto all'aria di nuovo, migliori quello che si può migliorare. "Io sono per la stabilità - ha detto nell'intervista il porporato -. Se si cambia la liturgia ogni giorno la cosa si fa invivibile. Ma d'altra parte - specifica - anche l'eccessiva rigidità è controindicata". Affrontare questi argomenti, nella Chiesa, oggi non è affatto facile. Molti liturgisti, infatti, considerano intoccabili fin nei minimi particolari le riforme postconciliari. "Alcuni liturgisti - ha detto ancora Ratzinger - vorrebbero far credere che tutte le idee che non sono conformi alle loro categorie rappresentino un ritorno al passato. Non è così. Io sono evidentemente a favore del Vaticano II che ci ha portato tante belle cose, ma dichiarare questo insuperabile e giudicare inaccettabili tutte le riflessioni con le quali dobbiamo riprendere la storia della Chiesa è un settarismo che non accetto". Per arrivare a una pacificazione e frenare gli abusi ha lavorato molto in questi anni la Congregazione vaticana per il culto divino, guidata dal cardinale Arturo Medina Estevez, che sta per andare in pensione: la sua successione alla guida del dicastero impensierisce non poco chi la pensa come Ratzinger.


Quando la messa diventa show

Sono davvero eccessivi gli appelli del custode dell'ortodossia cattolica, criticato da sinistra perché giudicato troppo conservatore e da destra perché giudicato troppo aperturista? Se si osserva la situazione della liturgia di molti Paesi, non c'è dubbio che si tratti di allarmi giustificati. Ma non occorre andare molto lontano. Ecco due casi recentissimi, a loro modo paradossali e, soprattutto, vicini a noi. Nella parrocchia di Sant'Agostino, ad Albignasego, alle porte di Padova, una domenica dello scorso novembre il sacerdote ha invitato alcuni ragazzi accanto all'altare a ballare una nota melodia dei Lunapop. Nella centralissima parrocchia di San Nicolò, accanto all'Arena di Verona, domenica 16 dicembre il curato, durante la Messa dei ragazzi, ha introdotto in chiesa un mimo vestito da barbone, con un cappellaccio in testa, e quindi una specie di marionetta animata raffigurante un angelo. Due esempi di "creatività" che fa degenerare l'azione liturgica in show.



da "Il Giornale", 29 dicembre 2001