giovedì 15 maggio 2008

Dario Castrillon Hoyos:Tradizione senza contestazione





di Vittoria Prisciandaro

Il cardinale a capo della Pontificia commissione "Ecclesia Dei" spiega perché il Motu proprio di Benedetto XVI è una grande ricchezza spirituale per tutta la Chiesa. E il modo in cui i problemi, che sono emersi fino a oggi, verranno risolti.


Sua Eminenza è soddisfatto. Il telefono dell'ufficio a piano terra, nel palazzo dell'ex sant'Uffizio, vive una nuova vita. E sulle scrivanie si accumula corrispondenza da tutto il mondo. Dopo la promulgazione del Motu proprio, la Pontificia commissione "Ecclesia Dei" è infatti diventata un anello importante nell'organigramma vaticano. "Adesso ho il doppio del lavoro che avevo alla Congregazione del clero", confida il cardinale Dario Castrillon Hoyos, colombiano, 79 anni, sostenitore caloroso del ritorno a casa dei lefebvriani e dal 2000 presidente della Commissione. Nata per gestire i rapporti con la Fraternità San Pio X e i gruppi che gravitano nella galassia tradizionalista, oggi "Ecclesia Dei" è diventata un interlocutore inevitabile di diocesi e parrocchie per le controversie relative all'applicazione del rito straordinario.

Eminenza, a pochi mesi dalla promulgazione del Motu proprio, quale bilancio trae?

"Con il Motu proprio il Papa ha voluto donare a tutti una rinnovata opportunità di usufruire dell'enorme ricchezza spirituale, religiosa e culturale presente nella liturgia del rito gregoriano. Il Motu proprio nasce come tesoro offerto a tutti, non in primo luogo per venire incontro a lamentale e richieste di qualcuno. Non pochi di quelli che prima non erano coinvolti in questa forma straordinaria del rito romano ora ne manifestano una grande stima. Tra i fedeli distinguerei tre gruppi: coloro che sono ; quelli della Fraternità San Pietro e, infine, il gruppo più importante e numeroso, formato da persone affezionate alla cultura religiosa di tutti i tempi, che oggi scoprono l'intensità spirituale del rito antico e, tra questi, numerosi giovani. In questi mesi sono nate nuove associazioni di persone appartenenti a quest'ultimo gruppo".

A proposito della ricchezza, alcuni liturgisti sottolineano il fatto che il rito straordinario non offre la ricchezza biblica introdotta dal novus ordo...

"Costoro non hanno letto il Motu proprio, perché il Papa afferma che le due forme si devono arricchire mutuamente. Ed è evidente che tale ricchezza liturgica non va sprecata. Nel novus ordo con gli anni si legge praticamente tutta la Bibbia, e questa è una ricchezza che non si oppone, ma va integrata nel rito straordinario".

Un'altra obiezione è sul pericolo che celebrazioni separate e diverse possano creare comunità separate...

"È una molteplicità che arricchisce, è una più ampia libertà culturale che il Papa introduce in una forma audace. Del resto nelle parrocchie ci sono molte differenze nelle celebrazioni, e non voglio parlare degli abusi, perché non sono gli abusi la ragione principale del Motu proprio".

Il suo segretario, monsignor Camille Perl, ha annunciato che a breve ci sarà un documento di chiarimento sul Motu proprio. Quando uscirà?

"È stato il cardinale Bertone ad annunciarlo, e ha il diritto a farlo. Ma io, che sono un servitore del Papa, lo annuncerò solo quando lo dirà il Papa. La nostra Commissione ha riferito al Pontefice che da ogni parte del mondo arrivano tante domande, moltissime giustificate, altre dovute a mancanza di conoscenza. Il Santo Padre, e solo lui, dirà se conviene fare un tale documento e quando".

Quali sono le domande che vi sono arrivate e che meriterebbero una risposta?

"La prima riguarda il latino, perché - dicono - celebrare in una lingua che non si conosce non è conveniente. Purtroppo i seminaristi, ma anche alcuni sacerdoti, non lo hanno studiato e quindi per loro è difficile celebrare nella forma straordinaria. Per farlo dovrebbero almeno conoscere il canone della Messa, la parte della consacrazione. Noi in 'Ecclesia Dei' ci stiamo attrezzando e stiamo preparando incontri, corsi e comunicazione informatica per una profonda conoscenza della liturgia anteriore. Alcuni corsi già sono attivi in Francia, Germania, in Brasile, in America centrale e negli Stati Uniti. A Toledo, in Spagna, per esempio, si sta valutando se conviene fare un seminario extra per la preparazione al rito straordinario o dare corsi speciali nel seminario della diocesi. In generale si nota un interesse di ritorno per il latino nel mondo accademico. È stato triste in questi anni constatare l'abbandono non solo della lingua, ma anche di certi contenuti teologici collegati alla precisione semantica della lingua latina".

Altro problema è la carenza di preti...

"Se in una diocesi mancano sacerdoti e solo tre o quattro fedeli chiedono il rito straordinario, è una cosa di buon senso pensare che sia difficile soddisfare questa domanda. Però, poiché l'intenzione, la mens, del Papa è concedere questo tesoro per il bene della Chiesa, laddove non ci sono sacerdoti la cosa migliore sarebbe offrire una celebrazione secondo il rito straordinario in una delle Messe domenicali parrocchiali. Sarebbe una Messa per tutti, e tutti, anche le giovani generazioni, usufruirebbero della ricchezza del rito straordinario, per esempio di quei momenti di contemplazione che nel novus ordo sono spariti".

Quindi lei sostiene che, se pure non c'è un gruppo consistente e stabile, in futuro si pensa di offrire una delle Messe domenicali nel rito straordinario?

"Riterrei di sì. D'altra parte questa possibilità era già stata approvata all'unanimità nel 1986 da una commissione cardinalizia nella quale era presente anche il cardinale Ratzinger, ma allora non era diventata operativa. Adesso sarei sicuro che potrebbe realizzarsi".

Un altro punto da chiarire è la definizione di "gruppo stabile e consistente". Cosa si intende esattamente?

"È una questione di buon senso: perché fare un problema se le persone che chiedono il rito vengono da parrocchie diverse? Se si riuniscono e insieme chiedono una Messa, diventano gruppo stabile, anche se prima non si conoscevano. Anche il numero è una questione di buona volontà. In alcune parrocchie, specialmente di campagna, nei giorni feriali le persone che partecipano alla Messa ordinaria sono tre o quattro e lo stesso avviene in non poche case religiose. Perché se quelle stesse tre persone chiedono la Messa antica sarebbe pastoralmente necessario rifiutarla?".

Quindi il futuro documento dovrebbe essere più accogliente delle richieste dei pochi?

"Sì, ma bisogna intenderlo non come qualcosa che va a scapito degli altri, della maggioranza, ma per il loro arricchimento e sempre evitando ogni pur minima forma di contrapposizione".

C'è poi il problema dei sacramenti: penso al rito dell'Ordinazione o a quello della Cresima, che fa riferimento a un codice di diritto canonico diverso e usa formule diverse...

"Certamente a prima vista ci sono alcuni problemi con riguardo all'Ordine sacro, alla Cresima e anche concernenti alla diversità di calendario. Quanto all'Ordine sacro nella forma antica c'erano la tonsura, gli ordini minori e il suddiaconato. Questa forma è ancora in uso e continuerà a esserlo negli Istituti vincolati stabilmente al rito antico, come la Fraternità San Pietro, la Fraternità San Pio X e altri Istituti. Sulla Cresima, prima ancora del Motu proprio, la Congregazione per la dottrina della fede aveva già chiarito che non c'è un conflitto tra le due formule, dato che anche la formula nuova come l'antica godono di validità e lo stesso si dica per gli altri sacramenti dove la formula è diversa. Con riguardo ai calendari che non sempre coincidono, si presentano effettivamente dei problemi come nel caso delle feste dei patroni di una parrocchia, dei santuari, di congregazioni e istituti religiosi, ecc. Con prudenza e buon senso si faranno gli accomodamenti necessari e anche di questo si occupa la Pontificia commissione 'Ecclesia Dei'".

Che tempi prevede per la riconciliazione con la Fraternità San Pio X?

"Ci sono segnali positivi, c'è un dialogo non interrotto. Ancora qualche giorno fa ho scritto una nuova lettera a monsignor Fellay, superiore della Fraternità, come risposta a una sua precedente. Oltre agli incontri e alla corrispondenza, ci sentiamo anche al telefono. Ritengo viabile la riconciliazione con la Fraternità San Pio X perché, come spesso abbiamo detto a 'Ecclesia Dei', non si tratta di un vero scisma ma di una situazione anomala nata dopo l'"azione scismatica" di monsignor Lefebvre nel conferire l'episcopato senza mandato pontificio, anzi contro la volontà espressa del Papa. Nel mio cuore ho la grande fiducia che il Santo Padre riuscirà a ricucire il tessuto della Chiesa con l'arrivo di questi fratelli alla piena comunione. Rimarranno sempre alcune differenze, come sempre abbiamo avuto nella storia della Chiesa".

Ma con i lefevbriani c'è anche un problema di accettazione del dialogo ecumenico...

"Sì, in effetti ci sono difficoltà con l'interpretazione di testi del Concilio al riguardo e con alcune concrete prassi ecumeniche, ma nessun vescovo della Fraternità di San Pio X dirà che non bisogna cercare l'unità dei cristiani".

Dopo il Motu proprio qualcuno della Fraternità San Pio X è tornato in comunione con la Chiesa di Roma?

"Sì, e altri hanno volontà di farlo. Ma io ho la speranza che venga l'intero gruppo, non vorrei che si dividessero. Se però arriva il singolo e dice che vuole fare subito l'unità con il Papa, lo si deve accettare. Il Motu proprio ha fatto avvicinare anche altre persone. Per esempio, il 28 marzo scorso, ho ricevuto la lettera di un vescovo non cattolico, che ha deciso di entrare nella Chiesa cattolica con altri vescovi e preti che celebrano la Messa tridentina".

I nuovi poteri di "Ecclesia Dei" non entrano in conflitto con il ministero dei vescovi?

"Il Papa, che ha l'autorità su tutta la Chiesa, su ognuno dei fedeli e dei vescovi, ha stabilito le nuove norme nel Motu proprio, e la Pontificia commissione è solo uno strumento al servizio del Vicario di Cristo perché venga realizzata la sua decisione. 'Ecclesia Dei' è attenta all'applicazione del Motu proprio in fraterna armonia, comprensione e collaborazione con i vescovi. Sono da evitare attitudini di contrasto con i pastori da parte di persone, gruppi o istituzioni a motivo del Motu proprio. Certamente i pastori, in obbedienza al Papa, avranno comprensione per quei fedeli che hanno un amore speciale per la tradizione liturgica. Con i vescovi che si sono messi in contatto con noi ho trovato sempre comprensione".

Nell'introduzione alla ristampa del Compendio di Liturgia pratica di Trimeloni, lei scrive che il Papa si avvale della Pontificia commissione "Ecclesia Dei" perché nella diversità delle forme cultuali possa risplendere la ricchezza dei tesori di fede e spiritualità della Sposa di Cristo. In cosa consiste la differenza tra la liturgia di Giovanni XXIII e quella riformata da Paolo VI?

"Papa Giovanni ha incorporato anche la liturgia nel suo desiderio di dialogo della Chiesa con la cultura contemporanea. Paolo VI ha dato organicità alle riforme nate da questo desiderio. Lo Spirito Santo, che sempre accompagna la Chiesa, ispira i cambiamenti necessari in ogni momento della storia, senza rottura violenta del processo di perfezionamento che Egli stesso ha ispirato nel decorso storico. Benedetto XVI, con questo Motu proprio, accomuna le ricchezze dei due momenti del processo, sanando anche, così, il disagio di quanti hanno creduto che nel campo liturgico c'era stata una rottura inaccettabile".

Dopo la riformulazione della preghiera del Venerdì Santo si è detto che si tornava indietro di 40 anni nel dialogo ebraico-cristiano. Si aspettava queste critiche?

"Non è cosa buona pregare per i nostri fratelli figli di Abramo? Abramo è padre della fede, ma in una catena salvifica nella quale si aspetta il Messia. E il Messia è arrivato. Negli Atti degli apostoli leggiamo che, in un giorno, si sono convertiti 5 mila ebrei. Non contesto la preghiera del novus ordo, ma considero perfetta quella attuale del rito straordinario. E prego volentieri per la conversione dei miei tanti amici ebrei, perché credo veramente che Gesù è figlio di Dio e il Salvatore di tutti".

Vittoria Prisciandaro



da "Jesus" - maggio 2008

lunedì 5 maggio 2008

Quando si prega non è conveniente guardarsi.

da www.rinascimentosacro.com

di Joseph Ratzinger

2. Nella tradizione, Oriente e immagine della croce, e quindi orientamento cosmico e storico salvifico della devozione, erano amalgamati; nell'immagine della croce era a sua volta espressa secondo un'interpretazione forse dapprima puramente escatologica il memoriale della Passione, la fede nella resurrezione e la speranza della parusia, e quindi tutta la tensione del concetto cristiano del tempo, per cui il tempo degli astri è trasformato nel tempo dell'uomo e nel tempo di Dio, nel tempo che non è Dio, ma che Dio ha per noi. Lo sguardo alla croce compendia in sé, in qualche modo, anche la teologia dell'icona, che è una teologia dell'incarnazione e della trasfigurazione; di fronte all'assenza di immagini dell'Antico Testamento (e dell'Islam) il Nuovo Testamento mette in evidenza la novità nell'immagine di Dio, verificatasi nell'incarnazione del Figlio: Dio va incontro ai nostri sensi. Egli è rappresentabile nell'uomo che è suo Figlio.

L'epoca postconciliare ha portato un calo dell'immagine, che si spiega con molte ragioni; non possiamo essere tranquilli. Non si dovrebbe ripristinare come cosa estremamente importante, il significato dell'immagine della croce e rispondere cosi alla costante incisiva di tutta la tradizione della fede? Anche nell'attuale orientamento della celebrazione, la croce potrebbe essere collocata sull'altare in tal modo che i sacerdoti e i fedeli la guardino insieme. Nel canone essi non dovrebbero guardarsi, ma guardare insieme lui, il trafitto (Zc 12, 10; Ap 1, 7).


3. Suscita sempre in me una certa impressione il fatto che i nostri fratelli evangelici, nella trasformazione delle forme medioevali, hanno trovato un ben equilibrato rapporto tra la posizione degli antistiti e della comunità da un lato e la posizione comune in direzione della croce. Fin dai primissimi esordi, essi hanno dato un rilievo molto forte al carattere comunitario del culto e hanno così necessariamente marcato con energia l'ambito delle parti nelle quali antistite e comunità sono rivolti l'uno verso l'altra, mentre in passato, nella liturgia cattolica, esso consisteva soltanto in brevi conversioni per i saluti e per gli inviti a pregare. Ma nell'atto vero e proprio della preghiera ci si rivolge pur lì insieme all'immagine del crocifisso. Ritengo che dovremmo apprendere seriamente da questo.

Nella preghiera non è necessario, non è anzi nemmeno conveniente, guardarsi l'uno con l'altro, e tanto meno nel ricevere la comunione. Dipenderà dalle disposizioni locali come si possa soddisfare a questi due punti di vista. Forse l'indicazione data al punto 2. può in molti casi aprire una soluzione pratica. In un uso esagerato e malinteso della "celebrazione rivolta al popolo" si è continuato a rimuovere la croce dal mezzo dell'altare perfino nella basilica di San Pietro a Roma, per non ostacolare la visuale tra il celebrante e il popolo. La croce sull'altare non è però un impedimento alla visuale, ma un punto comune di riferimento.

Essa è l'iconostasi, che è scoperta, non ostacola l'andare l'uno verso l'altro, ma media e significa pure per tutti l'immagine che concentra e unisce i nostri sguardi. Ardirei addirittura la tesi che la croce sull'altare non è impedimento ma presupposto della celebrazione "versus populum". Diverrebbe così nuovamente ricca di significato la distinzione tra liturgia della parola e canone. Nella prima si tratta dell'annuncio, e pertanto di un indirizzo immediato, nell'altra di un'adorazione comune, nella quale noi tutti stiamo più che mai durante la invocazione "conversi ad Dominum": Rivolgiamoci al Signore; convertiamoci al Signore.


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sabato 3 maggio 2008

Il Maestro Frisina le 'suona' a Kiko e ai Neocatecumenali: “No alle braccia incrociate in stile militaresco e all’omelia tenuta da laici”

di Bruno Volpe www.papanews.it

CITTA’ DEL VATICANO - Intervista con Monsignor Marco Frisina (nella foto), liturgista, compositore di musica sacra, uno dei sacerdoti certamente più attenti e anche competenti in materia di rispetto del decoro durante le cerimonie Eucaristiche. Con il celebre Maestro, autore dell’inno ufficiale dell’indimenticabile Gmg del 2000 e dei testi del Musical sulla Divina Commedia, partiamo dal modo controverso scelto dall’iniziatore del Cammino Neocatecumenale, Kiko Arguello, per ricevere, a braccia conserte, il Santissimo Sacramento dalle mani del Papa.

Monsignor Frisina, cosa pensa dell’atteggiamento di Kiko? Ai più è parsa una inutile provocazione da parte del capo di un movimento che non vede ancora approvati i propri statuti dal Vaticano…

“Arguello si è comportato in maniera assolutamente sbagliata e poco elegante. La Comunione va ricevuta con atteggiamento orante, mentre quelle braccia incrociate in stile militaresco hanno rappresentato un atteggiamento di sfida e, addirittura, di dispetto. Un episodio davvero poco edificante”.

Ricordiamo, per l’ennesima volta, qual è il modo più corretto per ricevere l’Eucarestia…

“Nel Novus Ordo è spiegato chiaramente che ci si deve accostare alla Mensa Eucaristica in processione, magari con le mani giunte, sempre in raccoglimento. Nel rito antico, come si sa, ci si doveva inginocchiare davanti alla balaustra. Questa delle braccia incrociate è davvero una brutta novità…”.

Parliamo dei Neucatecumenali. La loro liturgia fa molto discutere. Ad esempio, le omelie vengono tenute da laici. Cosa ne pensa?

“Guardi, la liturgia è unica, nessuno se ne può impossessare. So che la questione dei Neucatecumenali è sotto giudizio della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti, che li ha ‘esortati’ ad adeguarsi liturgicamente ai canoni della Chiesa. In quanto all’omelia laica, le dico senza indugio che si tratta di un abuso gravissimo che può creare pericolose confusioni; un abuso che va eliminato al più presto del tutto”.

Veniamo agli abusi liturgici in genere. Dopo il Vaticano II, se ne sono viste di tutti i colori: cattivi interpreti del Concilio si sono dati ad una brutta creatività…

“E’ vero. Questi abusi ci sono stati. Qualche sacerdote, fortunatamente non tutti, ha ecceduto in estrosità, reputandosi egli stesso il centro della Messa o inventando cose che non esistono, sconfinando quindi in superficialità e volgari sciatterie. Questa moda va rivista“.

Dunque, anche Lei p contrario alle cosiddette Messe-spettacolo…

“Chiaro. Il protagonista della Messa è sempre Cristo, mai il sacerdote. La Santa Messa è sacrificio, dono, mistero. Ogni eccesso creativo va contro questa visione teologica della cerimonia Eucaristica”.

Il Santo Padre Benedetto XVI, l’anno scorso, ha promulgato il Motu Proprio che liberalizza la Messa Tridentina. Qual è la Sua opinione?

“Penso che il Papa abbia compiuto un bel gesto di giustizia e di libertà. I fedeli tradizionalisti, anche se pochi, hanno il diritto di chiedere la celebrazione della Messa secondo il rito di San Pio V che, peraltro, è bene ricordarlo, non è mai stato abolito e fa parte, come dire, del Dna stesso della Chiesa. Io stesso ho fatto la mia prima Comunione con il Messale tridentino…“.

Lei che è uno dei massimi esperti in materia, ci dica: come deve essere la musica religiosa?

“Intonata alla celebrazione, senza sbavature o estrosità. I testi devono essere, anche se in lingua vernacolare, intonati ed appropriati alla funzione liturgica, evitando invenzioni o estemporaneità”.

giovedì 1 maggio 2008

La verità sul Cammino Neocatecumenale - Ecco come Kiko Arguello e Carmen Hernandez negano la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia

da www.papanews.it


di Don Marcello Stanzione

CITTA’ DEL VATICANO - Dopo l’articolo del Direttore Gianluca Barile dal titolo: “Le braccia incrociate di Kiko tra disobbedienza e messaggi in codice”, in redazione, come previsto, sono giunte numerose e-mail, sia di consenso che di critica, da parte dei lettori. In qualità di vicedirettore di ‘Petrus’, e prima ancora come sacerdote, sento la necessità di intervenire per un ulteriore chiarimento e per ribadire che non stiamo assolutamente conducendo una campagna denigratoria pregiudiziale nei riguardi del Cammino Neocatecumenale, né ci stiamo accanendo a dismisura contro gli ideatori di tale movimento. E’ solo che da cattolici e studiosi della materia, riteniamo, in coscienza, che il Cammino Neocatecumenale abbia gravi falle dottrinali e di prassi e, quindi, per amore della Chiesa, ci permettiamo di far notare ciò che, umilmente, consideriamo sbagliato. Ciò premesso, andiamo per gradi, tralasciando gli articoli precedenti e soffermandoci solo sull’editoriale-denuncia, firmato nell’area approfondimenti dal Direttore Barile, che tanto ha richiamato l’attenzione dei principali blog e siti cattolici della Rete. Come è noto, Domenica scorsa, in San Pietro, Benedetto XVI ha ordinato 29 nuovi sacerdoti, di cui 9 Neocatecumenali formatisi presso il seminario “Redemptoris Mater” di Roma. Al momento della Comunione, tra i fedeli che hanno ricevuto l’Eucaristia direttamente dalle mani del Papa, c’era anche Francisco Argüello, meglio conosciuto come ‘Kiko’, l’iniziatore spagnolo del Cammino. Kiko ha ricevuto la Santa particola sulla lingua ma con le braccia conserte, manifestando un atteggiamento esteriore non propriamente consono alla sacralità dell’Eucaristia. Questo atteggiamento esteriore poco rispettoso nasce probabilmente anche da errori dottrinali di Kiko verso la Santa Messa. Servendoci del testo “Orientamenti alle Equipes di catechisti per le catechesi dell’annuncio”, - pro manuscripto - Luglio 1986 (d’ora poi indicato con la sigla Or.), che contiene gli appunti presi dai nastri degli incontri avuti da Kiko e dalla co-inziatrice Carmen Hernandez per orientare gruppi di catechisti di Madrid nel Febbraio del 1972, cioè quando il Cammino muoveva i primi passi, vogliamo dimostrare questa ipotesi. Proprio grazie a tale testo di formazione di base dei Neocatecumenali, quindi, veniamo a conoscenza di gravi inesatezze prospettate da Kiko e Carmen. Essi, infatti, dichiarano: “La Chiesa primitiva non ha mai avuto problemi circa la presenza reale. Ma se già nella Pasqua Dio era presente... Dio è presente completamente, in maniera efficace, come diciamo noi; è una presenza sacramentale, reale, autentica, memoriale. Come si realizza la Pasqua se non c’è il braccio potente di Jahvé che trae fuori dall’Egitto? Con Gesù Cristo è lo stesso. Il memoriale che egli lascia è il suo spirito risuscitato da morte, fatto vita per portare al Pater tutti quelli che celebrano la Pasqua, tutti quelli che celebrano la cena con lui. La Chiesa primitiva non ha problemi a proposito di questa presenza” (Or. pp. 345-346); “Quando scoprirete quello che è il centro, tutte le altre cose che vi girano attorno perderanno importanza, a vantaggio del tesoro centrale nascosto” (Or. Pag. 312). Con tali espressioni, gli iniziatori del Cammino nascondono la negazione della “Presenza reale”, che non è espressione di un determinato momento storico contro i protestanti, ma la base necessaria e assoluta dell’Eucarestia, sia come Sacramento che come Sacrificio; è un problema che, nato nella sinagoga di Cafarnào, come primo annunzio dell’Eucarestia, si è realizzato nell’ultima Cena, ed è stato sottolineato da San Paolo (“Chi mangia indegnamente, viola il corpo di Cristo”), ed ha avuto perfino un’eco nel pensiero dei pagani, i quali sospettavano erroneamente che i cristiani uccidessero e mangiassero e bevessero la carne ed il sangue di un bambino; è attestato dai Padri, che anticipano il termine transustanziazione: come Cirillo di Gerusalemme, come Gregorio Nisseno; come Giovanni Crisostomo; come Cirillo di Alessandria; come Giovanni Damasceno; come Sant’Ambrogio, il quale parlando del pane che diventa corpo di Cristo dice: “Se è tanta la potenza delle parole di Gesù Cristo, che le cose che non esistevano incominciarono ad essere, quanto più efficaci saranno per far sì che le cose che già esistevano si convertano in altre!”. Quindi, con Kiko e Carmen siamo alla demolizione della vera dottrina cattolica sulla Santa Eucaristia. Già nel Medio Evo le eresie di Berengario furono condannate dalla Chiesa, e poi tante altre, fino a Lutero, che non negò la Presenza reale ma, come dice Kiko, negò solo “la parolina transubstanziazione, che è una parola filosofica che vuole spiegare il mistero” (Or. Pag. 345). Ma la più aperta eresia di Kiko e Carmen è la negazione sia del Sacrificio espiatorio della Croce, sia del sacrificio della Messa, perché, secondo loro, l’idea del Sacrificio espiatorio di Gesù Cristo è un’idea pagana da rigettare. Rileggiamoli: “...quando nel Medio Evo si mettono a discutere (i teologi, cioè l’intellighenzia della Chiesa!, ndr) del sacrificio, in fondo discutono di cose che non esistevano nell’Eucarestia primitiva. Perché sacrificio, nella religione, è “sacrum facere”, fare il sacro, mettersi a contatto con la divinità tramite sacrifici cruenti”. In questo senso non c’è sacrificio nell’Eucarestia: l’Eucarestia è sacrificio in un altro senso, perché nell’Eucarestia c’è, sì, la morte, ma c’è anche la resurrezione. Per questo dire che l’Eucarestia è sacrificio è giusto ma è incompleto. L’Eucarestia è sacrificio di lode, una lode completa di comunicazione con Dio attraverso la Pasqua del Signore. Ma, in quest’epoca, l’idea di sacrificio non è intesa così, ma nel senso pagano. Ciò che essi vedono nella Messa è che qualcuno si sacrifica, cioè Cristo. Nell’Eucarestia vedono soltanto il sacrificio della Croce di Gesù Cristo. e se oggi chiedeste alla gente qualcosa a proposito, vi direbbe che nella messa vede il Calvario” (Or. Pag. 312). Ora, la gente dice cosi perché questo è l’insegnamento prurisecolare del Cattolicesimo che per generazioni di cattolici è stato offerto dal catechismo. Insegnamento ortodosso che, invece, Kiko e Carmen rinnegano. E ancora: a pagina 353 degli “Orientamenti ai catechisti” i due iniziatori del Cammino neocatecumenale scrivono: “Carmen vi ha spiegato come le idee sacrificali, che Israele aveva avuto ed aveva sublimato, s’introdussero di nuovo nella Eucarestia cristiana. Forse che Dio ha bisogno del sangue del suo Figlio, del suo sacrificio per placarsi? Ma che razza di Dio abbiamo fatto? Siamo arrivati a pensare che Dio placava la sua ira nel sacrificio di suo figlio, alla maniera degli dei pagani. Per questo gli atei dicevano: che tipo di Dio sarà quello che riversa la sua ira contro suo figlio sulla Croce?... E chi poteva rispondere?...”. “Le razionalizzazioni sull’Eucaristica ci avevano condotto a queste deformazioni. Ma le cose non stavano così. Dio in Cristo, dice San Paolo, stava riconciliando il mondo in noi, non perché Cristo placa Dio in qualche modo, ma perché vuole dimostrare agli uomini che ci ama nonostante il nostro peccato, aveva bisogno di dimostrarci che anche se ammazziamo suo Figlio continuava ad amarci...”. La dottrina cattolica, al contrario di quella di Kiko e Carmen, è di una logica assoluta: Gesù si è fatto uomo, nostro fratello; non avendo noi come riparare gli oltraggi fatti a Dio, ecco che Egli, uomo come noi, nostro fratello per solidarietà, si è offerto Lui a riparare tutti i nostri peccati! Ma Kiko e Carmen travisavano la Bibbia e la fede che la Chiesa ha sempre professata e definita! Nella Sacra Scrittura è Dio stesso che stabilisce i sacrifici espiatori. A tal riguardo, già nell’Antico Testamento Levitico 16,2 seg. è esemplare ed afferma: “Disse Jahvé a Mosé: ordina ad Aronne tuo fratello... Aronne entrerà nel santuario in questo modo: con un giovenco per un sacrificio espiatorio e con un montone per un olocausto...”. Ora, questa idea non è stata mai corretta o sublimata; difatti, Malachia, ultimo dei profeti (cap. 1), ci parla di sacrifici espiatori che Dio rigetta solo perché i sacerdoti gli offrono gli scarti del gregge, come gli animali storpi; questi sacrifici critici, non solo non Lo placano, ma suscitano il Suo sdegno, e Dio annunzia il degno sacrificio messianico (verso 11): “In ogni luogo si presenta un sacrificio, si offre al mio nome un’oblazione monda. Sì, il mio nome è grande tra le genti, dice Jahvé degli eserciti!”. Dunque, è falso quello che dicono Kiko e Carmen, che è Dio che offre, mentre è vero che, nell’Eucaristia, è l’uomo che offre a Dio l’oblazione monda. Ecco le parole degli iniziatori del Cammino: “È chiaro che questo offrire a Dio non è affatto una cosa cattiva. Tu puoi offrire a Dio quello che vuoi, ma l’Eucarestia è una cosa ben diversa e nettamente distinta da tutto ciò. Nell’Eucarestia tu non offri nulla! È Dio assolutamente presente quello che dà la cosa più grande e cioè la vittoria di Gesù Cristo sulla morte” (Or. Pag.341). A Conferma della loro inesattezza, proprio nell’ultimo libro storico della Bibbia, il secondo libro dei Maccabei, troviamo l’offerta di sacrifici espiatori: Giuda Maccabeo manda a Gerusalemme 12.000 dracme d’argento per far celebrare un sacrificio di espiazione per i peccati dei soldati morti in battaglia; e l’autore ispirato dice: “Egli era per un pensiero buono e pio riguardo alla resurrezione. Se, infatti, non avesse avuto la speranza che coloro caduti sarebbero risorti, superfluo e vano sarebbe stato pregare per i morti!”. Dal servo di Jahvè di cui parla il profeta Isaia, “ ...trafitto a causa delle nostre colpe...” (Isaia 53,5), all’Agnello dell’Apocalisse, a cui tutto il cielo innalza il canto: “tu sei degno... poiché fosti immolato e acquistati per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione”, tutta la scrittura parla del sacrificio perfetto di Cristo! A noi basta ricordare le parole stesse della consacrazione Eucaristica: “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi... Questo è il mio sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati...”. Kiko e Carmen, quindi, stanno ripetendo esattamente tutte le eresie Eucaristiche già condannate apertamente dal Concilio di Firenze, contro i catari e gli albigesi, e da quello di Trento (sessione XXII, cap. 1) contro i luterani. Il Concilio Vaticano II tratta dell’Eucarestia nel documento sulla liturgia, ai capitoli intitolati: “Magistero e vita sacerdotale” (n° 5); “Chiesa e Mondo” (n°38); “Lumen Gentium” (nn. 3 e 28). Che dire? E’ molto triste che con tutte queste autentiche ed autorevoli catechesi del Concilio, Kiko e Carmen si ostinino ancora ad inviare ai loro catechisti, che a loro volta la ripetono ‘pappagallescamente’ ai fedeli del Cammino Neocatecumenale, questa loro vecchia catechesi degli anni ‘70 che genera solo confusione sull’autentica dottrina cattolica e sulla Santa Messa. Cosicché è chiaro che, alla fine, si arrivi ad andare a ricevere la Santa Comunione dal Papa addirittura con le braccia conserte…