mercoledì 26 novembre 2008

Per Monsignor Amato il dialogo interreligioso è possibile solo con "competenza e discernimento"

www.papanews.it


CITTA’ DEL VATICANO - Il dialogo interreligioso "non si improvvisa", richiede "competenza e spirito di discernimento", rifugge da "atteggiamenti ingenui" e soprattutto non esime chi lo pratica di annunciare la propria fede. Lo ha affermato l'Arcivescovo Angelo Amato, primo collaboratore di Joseph Ratzinger alla Congregazione della Dottrina della Fede e oggi prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, intervenuto al Convegno Cei su questo tema. L'incontro arriva all'indomani della pubblicazione di una lettera del Papa al senatore Marcello Pera a commento di un libro dell'uomo politico, che e' stata interpretata come una presa di distanza del Pontefice dal dialogo interreligioso. Mons. Amato ha spiegato invece che per il Papa e' possibile "il dialogo della carita' e della verità”. "Il dialogo della carita' - ha detto - e' fatto di accoglienza, di ascolto e stima reciproca". "Spiana la via al dialogo della verita' e - ha aggiunto - sono convinto che le visite, l'amicizia, lo scambio dei doni riescono a diradare la densa nebbia dei pregiudizi storici e psicologici" di cui sembra soffrire oggi il dialogo tra le Chiese cristiane. "Il dialogo della verita' - ha poi precisato Monsignor Amato - non si improvvisa, richiede competenza, spirito di comprensione e riguarda contenuti teologici non negoziabili". "I due dialoghi corrono su binari diversi, ma alla fine convergenti e procedono a due velocita'. Il dialogo della carita' e' certamente piu' veloce ma il dialogo della verita' corre piu' sicuro e con frutti certi perche' fa luce sul molto che ci unisce e chiarisce cio' che ancora ci divide".Nel dialogo ecumenico, ha ricordato il presule salesiano, le Chiese hanno ''una piattaforma comune e condivisa'' che ovviamente non puo' esserci nel dialogo interreligioso. ''Pertanto - ha detto Monsignor Amato - diverse sono le finalita' dei due dialoghi: scopo del dialogo ecumenico e' il raggiungimento dell'unita' dei cristiani nell'unica Chiesa di Criston finalita' invece del dialogo interreligioso non e', come alcune correnti teosofiche lasciano intendere, la creazione di una religione universale, sincretistica, che riconosce un minimo comune denominatore presente in tutte le religioni''. Ed e' da questo rischio che Benedetto XVI intende metterci in guardia. Mentre resta ''sconfinato l'orizzonte in cui si puo' concretamente attuare il dialogo interreligioso: dall'azione per il raggiungimento della pace nel mondo, alla tutela della liberta' religiosa, alla protezione della vita soprattutto se indifesa''. Nel dialogo con le altre fedi occorre portare la propria identita' religiosa ed e' questo che il Papa ci chiede con i suoi richiami. ''Non si puo' - ha spiegato in proposito il suo ex vice alla Dottrina d'ella Fede - fare tabula rasa della propria identita' cristiana. Molti teologi, per esempio, per arrivare ad un Dio comune a tutti, mettono tra parentesi la figura chiave del cristianesimo che e' Gesu'. Ma - ha avvertito Amato - per entrare nel territorio altrui, il miglior atteggiamento e' mostrare la propria carta di identità''. Ed appare ben chiaro, ha concluso, nei documenti della Santa Sede anche recenti, che ''il dialogo non elimina l'evangelizzazione e l'annuncio della propria fede nonche' la chiamata alla conversione e al battesimo''.

Era ora!!!FINALMEN TE! Secondo Benedetto XVI "Il dialogo tra le religioni non è possibile. La fede non si può mettere tra parentesi"

tratto da CORRIERE DELLA SERA.it

Caro Senatore Pera, in questi giorni ho potuto leggere il Suo nuovo libro Perché dobbiamo dirci cristiani. Era per me una lettura affascinante. Con una conoscenza stupenda delle fonti e con una logica cogente Ella analizza l’essenza del liberalismo a partire dai suoi fondamenti, mostrando che all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio: la sua relazione con Dio di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il dono della libertà. Con una logica inconfutabile Ella fa vedere che il liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento. Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi della libertà e dall’analisi della multiculturalità in cui Ella mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale. Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che possono essere l’Europa e una Costituzione europea in cui l’Europa non si trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento cristiano-liberale, la sua propria identità. Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale.

Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari. Del contributo circa il significato di tutto questo per la crisi contemporanea dell’etica trovo importante ciò che Ella dice sulla parabola dell’etica liberale. Ella mostra che il liberalismo, senza cessare di essere liberalismoma, al contrario, per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al superamento della crisi. Con la sua sobria razionalità, la sua ampia informazione filosofica e la forza della sua argomentazione, il presente libro è, a mio parere, di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e del mondo. Spero che trovi larga accoglienza e aiuti a dare al dibattito politico, al di là dei problemi urgenti, quella profondità senza la quale non possiamo superare la sfida del nostro momento storico. Grato per la Sua opera Le auguro di cuore la benedizione di Dio.

Benedetto XVI

venerdì 21 novembre 2008

Ebrei insaziabili su Pio XII. Doveva farsi circoncidere? La smettano di mettere il naso in casa nostra e si convertano


di Bruno Volpe
tratto da PONTIFEX.ROMA.IT

"Io non so che cosa vogliano ancora gli ebrei da Pio XII e dal rito di San Pio V. Forse pretendono che Pio XII dovesse essere circonciso…”,la battuta ,fulminante, è di don Luigi Moncalero, Priore del Priorato San Carlo della Fraternità San Pio X. Padre, ultimamente i giudei sono tornati alla carica sul presunto antisemitismo del rito antico,lei che ne dice: “ la smettano di mettere il naso nelle nostre cose. Non ho visto nessun cattolico dire a loro come devono pregare. Sono insaziabili, la verità è che i cattolici non hanno nulla da farsi perdonare dai giudei,semmai è il contrario,ma anni di buonismo hanno portato a questo, per esempio le visite alle sinagoghe”. Insomma il rito di San Pio V non ha niente di antisemita: “ la Chiesa cattolica non è razzista,dunque non è antisemita. Però è storicamente giusto affermare che gli ebrei si resero responsabili della morte di Cristo e che dunque devono convertirsi.

Ma pregare per la loro conversione non mi sembra antisemitismo” .

Spiega: “ non siamo contro il giudeo in quanto persona,ma condanniamo il giudaismo come religione e dottrina, che è fuorviante,ostile al cattolicesimo e pericoloso. Insomma,ognuno a casa propria”.

Ma a che si deve questo rialzare la testa da parte degli ebrei? : “ un poco fa parte del loro costume. Poi anni di buonismo li ha rafforzati. A forza di abbassare la guardia, di cercare il dialogo con chi in realtà non lo vuole, si è arrivati a tanto. Ed ecco si spiega così la speciosa quanto assurda polemica su Papa Pio XII. Storicamente è provato che Papa Pacelli salvò molti ebrei,ma loro vogliono la damnatio memoriae. Io mi chiedo che altro dovesse fare quel Santo Papa? Farsi circoncidere?”.

Passiamo alla liturgia. Dopo il sacrosanto Motu Proprio del Papa Benedetto XVI che ha liberalizzato la messa antica,molti ne hanno apprezzato le bellezza. Per quale ragione?: “ perché è la messa di sempre, del Dio che allieta la mia gioventù. Purtroppo la riforma del Vaticano II ha buttato alle ortiche, malamente, un tesoro del nostro tempo e della tradizione. E’ stata messa da parte in modo assurdo,indegno ed oggi la gente se ne sta rendendo conto e la apprezza,ma..”. Aggiunge: “ dico ai miei amici tradizionalisti in comunione con Roma: il vero nodo non è liturgico,ma dottrinale”.

In che senso? : “ io apprezzo i loro sforzi,ma celebrare con il rito antico senza restaurare la sana dottrina della Chiesa non ha senso. Insomma, si corre il rischio, certo, di far diventare la messa antica un pezzo da museo, da anticaglia”. Insomma,il vero problema è teologico: “ certo. La liturgia obbedisce ed è figlia della dottrina. Il Concilio Vaticano II e successivamente anche alcune valutazioni furibonde, ha portato disordine nella dottrina della Chiesa. Io contesto,per esempio il principio dell’ecumenismo”.

Per quale ragione?: “ se gli altri si convertono al cattolicesimo,benvenuti. Ma la Chiesa di Cristo è la cattolica. Dunque non vedo perché scodinzolare dietro pagani e protestanti cercando compromessi. Oggi assistiamo,sia nella liturgia che nella dottrina, ad una protestantizzazione. Errore. Lo ripeto, se i protestanti vengono da noi convertendosi,saranno accolti a braccia aperte. Ma cercare di recuperarli ad ogni costo,ha portato ad errori e abusi pericolosi e al modernismo”

Veniamo infine ai fratelli ebrei,che dice loro?:” di lasciare in pace le nostre preghiere. Noi no mettiamo il naso in casa loro. E siano rispettosi con Pio XII, ma paghiamo purtroppo anni di buonismo nei loro confronti che sanno capire quando l’avversario è debole. Si convertano”.

© 2008 Pontifex

Udienza Generale, Benedetto XVI sconfessa Lutero prendendo spunto dall’esempio di San Paolo: “Non basta la fede, per salvarci occorrono anche carità e

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CITTA’ DEL VATICANO - Benedetto XVI ha citato Martin Lutero durante la tradizionale catechesi dell’Udienza Generale del Mercoledi’, sconfessando la sua affermazione per la quale "ci si salva solo per fede". Il Papa, infatti, ha chiarito che questo "e' vero", ma, ha ammonito, "se non si oppone la fede alla carita' e all'amore". Solo "trasformati dall'amore di Cristo per Dio e per il prossimo possiamo essere realmente giusti agli occhi di Dio", ha proseguito il Pontefice, perche' "la Legge trova il suo adempimento nel comandamento dell'amore". Le parole di Benedetto XVI hanno preso spunto dalla cosiddetta dottrina della giustificazione ed hanno riguardato, in larga parte, l’esempio di San Paolo. "Quando Paolo incontro' il Risorto sulla strada di Damasco - ha ricordato il Papa - era un uomo realizzato: irreprensibile quanto alla giustizia derivante dalla Legge", ma dopo quell'incontro "comincio' a considerare tutti i suoi meriti" come "spazzatura di fronte alla sublimita' della conoscenza di Gesu' Cristo" e passo' "da una giustizia fondata sulla Legge e acquisita con l'osservanza delle opere prescritte, ad una giustizia basata sulla fede in Cristo". Per il Pontefice, "il rapporto tra Paolo e il Risorto divento' talmente profondo da indurlo a sostenere che Cristo" era "il suo vivere, al punto che per poterlo raggiungere persino il morire diventava un guadagno". Proprio per questo, ha evidenziato il Santo Padre, "Paolo colloca ormai al centro del suo Vangelo un'irriducibile opposizione tra due percorsi alternativi verso la giustizia: uno costruito sulle opere della Legge, l'altro fondato sulla grazia della fede in Cristo". E Paolo sceglie il secondo, per il quale "l'uomo e' giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge". Ma "la liberta' cristiana non e' libertinismo, e la liberazione della quale parla San Paolo non e' liberazione dal fare il bene", ha sottolineato ancora il Papa. "La Legge dalla quale siamo liberati e che non salva", ha tenuto a precisare Benedetto XVI, e' rappresentata dalla Torah in tutti i suoi cinque libri, che nell'interpretazione farisaica implica un complesso di comportamenti e "osservanze rituali e cultuali che determinano sostanzialmente l'identita' dell'uomo giusto", esprimendo "un'identita' sociale, culturale e religiosa". "Le opere della Legge che non giustificano" sono le sue prescrizioni "rituali e culturali che determinano l'identita' dell'uomo giusto: circoncisione, cibo, purezza rituale, sabato, comportamenti che appaiono anche in dibattiti tra Gesu' e i contemporanei". Si tratta di una serie di prescrizioni che con Cristo "non sono piu' necessarie. Lui basta". Le pratiche mosaiche, ha sottolineato il Papa, erano divenute importanti soprattutto in epoca ellenistica, quando Israele sentiva minacciata la propria identita' e la propria fede. Le prescrizioni della legge erano una sorta di "muro di difesa di questa identità". Per lo stesso motivo, Paolo perseguitava i cristiani. "Nel momento dell'incontro con il Risorto - ha scandito Benedetto XVI - Paolo ha capito che con la risurrezione di Cristo la situazione era cambiata: il Dio di Israele diventa il Dio di tutti i popoli, il muro tra Israele e i pagani non e' piu' necessario: Cristo ci protegge dal politeismo, ci unisce a Dio e ci garantisce l'identita' nella diversita' delle culture. E' lui che ci fa giusti". Infatti, "essere giusti e' essere con Cristo e questo basta. La comunione con Cristo - ha proseguito il Pontefice - crea carita': preghiamo il Signore che ci aiuti a credere e che questo diventi vita e cosi' trasformati al suo amore possiamo essere realmente giusti agli occhi di Dio". "L'espressione ‘sola fide' - quindi - e' vera se non si oppone alla carita' e all'amore: bisogna guardare Cristo, affidarsi a Cristo, conformarsi con Cristo, alla forma e alla vita di Cristo, che e' l'amore. La fede opera per mezzo della carita'. Nell'amore di Dio e del prossimo e' adempiuta tutta la legge". E nella festa di Cristo Re, che la Chiesa celebra Domenica prossima, ha concluso il Papa, si afferma proprio che "il Giudice ha come criterio l'amore".

sabato 15 novembre 2008

"Venga meno l'atteggiamento di sufficienza": così è l'intero passato a essere disprezzato!"

Tratto da Joseph Ratzinger, "Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio", Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo 2001, pp. 379-381


"C'è bisogno come minimo di una nuova consapevolezza liturgica che sottragga spazio alla tendenza a operare sulla liturgia come se fosse un oggetto della nostra abilità manipolatoria. Siamo giunti al punto che dei gruppi liturgici imbastiscono da sé stessi la liturgia domenicale. Il risultato è certamente il frutto dell'inventiva di un pugno di persone abili e capaci.

Ma in questo modo viene meno il luogo in cui mi si fa incontro il totalmente Altro, in cui il sacro ci offre se stesso in dono; ciò in cui mi imbatto è solo l'abilità di un pugno di persone. E allora ci si accorge che non è quello che si sta cercando. È troppo poco, e insieme di qualcosa di diverso. La cosa più importante oggi è riacquistare il rispetto della liturgia e la consapevolezza della sua non manipolabilità. Reimparare a riconoscerla nel suo essere una creatura vivente che cresce e che ci è stata donata, per il cui tramite noi prendiamo parte alla liturgia celeste.

Rinunciare a cercare in essa al propria autorealizzazione, per vedervi invece un dono. Questa, credo, è la prima cosa: sconfiggere la tentazione di un fare dispotico, che concepisce la liturgia come oggetto di proprietà dell'uomo, e risvegliare il senso interiore del sacro. Il secondo passo consisterà nel valutare dove sono stati apportati tagli troppo drastici, per ripristinare in modo chiaro e organico le connessioni con la storia passata. Io stesso ho parlato in questo senso di "riforma della riforma". Ma, a mio avviso, tutto ciò deve essere preceduto da un processo educativo che argini la tendenza a mortificare la liturgia con invenzioni personali.

Per una retta presa di coscienza in materia liturgica è importante che venga meno l'atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi sostiene la continuazione di questa liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo all'indice; ogni tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia non è mai accaduto niente di questo genere; così è l'intero passato della Chiesa a essere disprezzato. Come si può confidare nel suo presente se le cose stanno così? Non capisco nemmeno, a essere franco, perché tanta soggezione, da parte di molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione all'interno della Chiesa.

Oggi il latino nella Messa ci pare quasi un peccato. Ma così ci si preclude anche la possibilità di comunicare tra parlanti di lingue diverse, che è così preziosa in territori misti. Ad Avignone, ad esempio, il parroco del Duomo mi ha raccontato che una domenica si sono improvvisamente presentati tre diversi gruppi, ognuno dei quali parlava una lingua diversa, e tutti e tre desiderosi di celebrare la Messa. Propose quindi di recitare il Canone tutti insieme in latino, così avrebbero potuto concelebrare tutti quanti. Ma tutti hanno respinto bruscamente questa proposta: no, ognuno doveva trovarci qualcosa di proprio. O pensiamo anche a località turistiche: dove sarebbe bello potersi riconoscere tutti in qualcosa di comune.

Dovremmo quindi tenere presente anche questo. Se nemmeno nelle grandi liturgie romane si può cantare il "Kyrie" o il "Sanctus", se nessuno sa più nemmeno cosa significhi il "Gloria", allora si è verificato un depauperamento culturale e il venire meno di elementi comuni. Da questo punto di vista direi che il servizio della parola dovrebbe essere tenuto in ogni caso nella lingua madre, ma ci dovrebbe anche essere una parte recitata in latino che garantisca la possibilità di ritrovarci in qualcosa che ci unisce".

Joseph Ratzinger