giovedì 14 maggio 2009

Il documento ufficiale del card. Caffarra sulla comunione in mano

MESSAINLATINO.IT




CARLODEL TITOLO DI S. GIOVANNI BATTISTA DEI FIORENTINI DELLA SANTA ROMANA CHIESA PRETECARDINALE CAFFARRAPER GRAZIA DI DIO E DELLA S. SEDE APOSTOLICAARCIVESCOVO DI BOLOGNAGRAN CANCELLIERE DELLA FACOLTA TEOLOGICA DELL'EMILIA-ROMAGNA



Cancelleria Arcivescovile Prot. 2224 Tit. 1 Fasc. 6 Anno 2009


DISPOSIZIONI SULLA DISTRIBUZIONE DELLA-COMUNIONE EUCARISTICA


Fin dalle sue origini la Chiesa apostolica ha espresso la convinzione di fede che i discepoli s'incontrano con il Risorto, ne fanno esperienza nel primo giorno dopo il sabato ascoltando la Parola di Dio e la sua spiegazione e spezzando il pane eucaristico (cfr. Le 24, 13-35; Al 20, 7-12). San Giustino nella I Apologia, al n. 67 testimonia l'ulteriore sviluppo di questa prassi.La predicazione degli apostoli, poi, illustrava ai fedeli la grandezza del Sacramento dell'altare e le disposizioni interiori necessarie per potervi partecipare con frutto, senza correre il rischio di mangiare e bere la propria condanna (cfr. lCor 11,29), ma al contrario perché mangiando di quel pane, Corpo di Cristo dato per la vita del mondo, chi crede possa avere la vita eterna (cfr. Cv 6,51).È quindi preciso dovere dell'apostolo esortare spesso i cristiani perché possano ricevere degnamente il Corpo di Cristo plasmando la propria vita ad immagine di Colui che nel sacramento viene ricevuto.La pietà e la venerazione interiore con cui i fedeli si accostano all'Eucaristia si manifesta anche esteriormente nel modo con cui essi ricevono il Pane consacrato.La catechesi dei pastori non manchi dunque di soffermarsi anche sul modo con cui ci si può accostare all'Eucaristia perché si eviti il più possibile che il Santissimo Sacramento dell'Eucaristia sia trattato con superficialità o addirittura in modo irriverente o, peggio ancora, sacrilego.Dobbiamo infatti prendere atto che purtroppo si sono ripetuti casi di profanazione dell'Eucaristia approfittando della possibilità di accogliere il Pane consacrato sul palmo della mano, soprattutto, ma non solo, in occasione di grandi celebrazioni o in grandi chiese oggetto di passaggio di numerosi fedeli .Per tale motivo è bene vigilare sul momento della santa Comunione partendo dall'osservanza delle comuni norme ben note a tutti.La distribuzione dell'Eucaristia avvenga in modo pacato ed ordinato, sia fatta in primo luogo dai ministri ordinati (presbitero e diacono); solo in loro mancanza dai ministri a ciò istituiti (accoliti). Solo in casi veramente eccezionali si ricorra ad altri ministri istituiti (lettori), alle religiose o a fedeli ben preparati.Durante la Comunione i ministranti assistano il ministro, per quanto possibile, vigilando che ogni fedele dopo aver ricevuto il Pane consacrato lo consumi immediatamente davanti al ministro e che per nessun motivo venga portato al posto, oppure riposto nelle tasche o in borse o altrove, né cada per terra e venga calpestato.L'Eucaristia è infatti il bene più prezioso che la Chiesa custodisce, presenza viva del Signore Risorto; tutti i fedeli si devono sentire chiamati a fare ogni sforzo perché questa presenza sia onorata prima di tutto con la vita e, poi, con i segni esteriori della nostra adorazione.In ogni caso, considerata anche la frequenza in cui sono stati segnalati casi di comportamenti irriverenti nell'atto di ricevere l'Eucaristia, disponiamo che a partire da oggi nella Chiesa Metropolitana di S. Pietro, nella Basilica di S. Petronio e nel Santuario della B.V. di San Luca in Bologna i fedeli ricevano il Pane consacrato solamente dalle mani del ministro direttamente sulla lingua.Raccomandiamo poi a tutti i sacerdoti di richiamare al popolo loro affidato la necessità di essere in grazia di Dio per poter ricevere l'Eucaristia e il grande rispetto dovuto al sacramento dell'Altare: con la catechesi, la predicazione, la celebrazione attenta e amorosa del Santi Misteri, educando i fedeli ad adorare il Dio fatto uomo con l'atteggiamento della vita e con la partecipazione curata in tutto, anche nei gesti, alla Mensa del Signore.Esortiamo infine i fedeli a mettere ogni impegno perché l'Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana, sia sempre più amata e venerata, riconoscendo in essa la presenza stessa del Figlio di Dio in mezzo a noi.Bologna, dalla Residenza Arcivescovile, 27 aprile 2009.


+Carlo Card. Caffarra Arcivescovo

ABOLIAMO LA PREGHIERA DEI FEDELI

MESSAINLATINO.IT

Qual è per voi il momento meno ispirato (diciamo così, ma è un eufemismo) della Santa Messa riformata? La terza monizione con la sfilza degli avvisi? Il segno della pace in cui ci si sbraccia da panca a panca? L'augurio del prete di buona domenica e buona settimana subito di seguito all'"Andate in pace"? O forse il Padre nostro in cui il vicino, se non preferisce girare all'insù le palme degli arti come un tapinello, cerca di agguantare proditoriamente le vostre mani per formare così una catena dell'amore?
No: il momento peggiore è sicuramente la preghiera dei fedeli. Quella serie che sembra inesauribile di aria fritta e buone intenzioni scìpite, per lo più scritte con l'eleganza stilistica di una circolare ministeriale e, come è purtroppo frequente, balbettata con discontinua dizione da una brigata di faccendieri della parrocchia, che si alternano allo strumento del Potere, il Microfono. Ad ogni frasetta, occorre rispondere con un'invocazione (anche se alle labbra affiora piuttosto un'imprecazione) che genialmente non è mai la stessa e si dimentica subito dopo la prima ripetizione, sicché solo i proclamatori all'ambone possono rispondersi alle stupidaggini che hanno appena finito di leggere.
Intendiamoci: le preghiere dei fedeli non sarebbero nulla di male se fossero sul serio quello che il nome sembra indicare: ossia se i parrocchiani esprimessero davvero sentite intenzioni di orazione. Qualcosa di concreto, come: Preghiamo per la signora Maria, che deve affrontare una difficile operazione; per i terremotati d'Abruzzo, perché il Signore li consoli nella prova; per i ragazzi dell'oratorio, perché crescendo restino bravi ragazzi, ecc.
E invece, è la fiera dell'aria fritta, la sagra della dissipazione vocale, l'apoteosi del luogo comune.
Siamo un po' acidi, oggi? Forse: ma leggetevi le preghiere dei fedeli di domenica scorsa, 10 maggio 2009, come proposte, a centinaia o migliaia di parrocchie italiane, da quel libello titolato La Domenica, stampato dalle Paoline con l'imprimatur (e questo spiega molto) del famigerato vescovo Dho di Alba (Piemonte). Noi ci troviamo, peggio ancora che l'insulsaggine abituale, concetti apertamente anticattolici. Ecco qua, con i nostri commenti in rosso:
1. Per il papa, i vescovi, i presbiteri, i diaconi e tutti i ministri del Vangelo [cosa dicevamo circa il linguaggio da circolare ministeriale?]: perché siano segni viventi di comunione, capaci di suscitare fraternità e comprensione, collaborazione ed amore [non interessa dunque un fico che sappiano evangelizzare e convertire, far conoscere e amare il Signore, pregare e toccare i cuori, visto che manco vi si accenna]
Assemblea: Visita, Signore, la tua vigna [una volta si rispondeva sempre "Ascoltaci, Signore", ed era semplice per tutti; ora il versicolo è diverso ogni domenica, col divertente effetto che chi non lo dimentica subito del tutto, come minimo lo storpia alle successive risposte]
2. Per la famiglia, luogo di formazione ai valori umani e cristiani, perché possa educare i figli ad uno spirito universale, aperto e responsabile verso il mondo e i suoi problemi [l'educazione cristiana non è dunque più trasmissione della Fede, ma indottrinamento ad uno "spirito universale" aperto al mondo e ai suoi problemi]
3. Per i fanciulli che si preparano alla prima Comunione: perché vivano con le loro famiglie un'esperienza intensa dell'incontro con il Signore e, di domenica in domenica, partecipino con gioia al banchetto eucaristico [la Messa ridotta a festoso banchetto, non fa nemmeno più notizia].
4. Per ciascuno di noi che è chiamato a vivere il comandamento dell'amore, perché l'Eucaristia che celebriamo ci dia la forza per testimoniare il Vangelo sempre e dovunque [possibile che non ci si renda conto che la stucchevolezza di questi continui richiami puramente labiali e generici all'amore finisce per svilire la nobiltà e l'importanza di quel comandamento, riducendolo ad una sorta di bolsaggine?].
La riforma della riforma dovrebbe risolutamente passare anche per di qua. Paoline, dite qualcosa di cattolico...

lunedì 4 maggio 2009

Bux: “Essere immersi in Lui, nella verità”. Una lezione di liturgia.

ROMA, mercoledì, 29 aprile 2009 (ZENIT.org) - Nel suo contributo, don Nicola Bux, docente di teologia sacramentaria e liturgia a Bari e consultore di diversi dicasteri della Santa Sede, ci offre una meditazione in chiave di teologia liturgica sull’omelia pronunciata dal Santo Padre durante la Santa Messa crismale di quest’anno. Le riflessioni di don Bux offrono interessanti suggerimenti per comprendere la mens liturgica di Benedetto XVI (Mauro Gagliardi).

di don Nicola Bux

Chi legge l’introduzione del Papa ai suoi scritti sulla liturgia, editi per ora in lingua tedesca, trova questo passaggio:
«Non mi interessavano i problemi specifici della scienza liturgica, ma sempre l’ancoraggio della liturgia nell’atto fondamentale della nostra fede e quindi anche il suo posto nella nostra intera esistenza umana».Forse questa schiettezza confermerà taluni liturgisti in quello che già pensano: Joseph Ratzinger non è un vero esperto di liturgia. Il problema è che la liturgia, dopo il Concilio, è stata da molti studiosi disancorata dal domma; quindi era difficile per un liturgista postconciliare leggere, ad esempio, il libro di Ratzinger Das Fest des Glaubens (tradotto in italiano col titolo La festa della fede). Ancora fino all’elezione pontificia, capitava di udire vescovi sconsigliare la lettura di Einführung in den Geist der Liturgie (versione italiana: Introduzione allo spirito della liturgia). Alcuni si chiedevano: come poteva un dommatico (sic!) come Ratzinger scrivere di liturgia?Pian piano, cominciamo ad accorgerci che abbiamo smarrito, nell’approccio alla liturgia, l’essenziale, per perderci dietro tecnicismi estenuanti ed estetismi evanescenti. Non capita spesso di sentir dire, al termine di una liturgia: «È stata una celebrazione riuscita»? La chiave per capire il pensiero liturgico di Ratzinger sta al contrario nello sguardo orientato alla Croce e a Colui che vi pende: sguardo ad un tempo reale e simbolico, artistico e mistagogico; in una parola, liturgico.L’omelia della Messa crismale del giovedì santo di quest’anno ci riporta allo «spirito della liturgia» come lo avverte il Santo Padre. Anche perché tocca quel rapporto essenziale tra Ordinazione sacerdotale e culto – il prete è ordinato essenzialmente al culto, inteso come offerta a Dio – innanzitutto perché rimette in auge il concetto di consacrazione come sacrificio per Gesù Cristo e di conseguenza per chi voglia far altrettanto col suo corpo, quale culto logico (cf. Rm 12,1-2). Direi, anzi, che questo sia proprio dipendente dalla «consacrazione nella verità». Così, «mi consacro» è uguale a «mi sacrifico», il sacerdote è nello stesso tempo la vittima – «una parola abissale» che permette lo sguardo a Gesù Cristo nel più intimo, perché si raggiunge il mistero della redenzione, del sacerdozio della Chiesa, ovvero ciò che soprattutto essa è chiamata a fare nel mondo e del mondo: una consacrazione. Altro che dialogo col mondo: «un passaggio di proprietà» dal mondo a Dio è il prete; ma questo è vero in radice per tutti i cristiani. Non è la liturgia un sacrificio, un «privarsi di qualcosa per consegnarla a Dio»? Essa non è in nostra proprietà: è «un essere messi da parte». Di qui segue la funzione di rappresentare gli altri davanti a Lui.Ma la liturgia è una consacrazione nella verità, perché la parola di Dio è la Verità. Come dice più avanti, è Cristo stesso la Verità. La liturgia della Parola deve essere una consacrazione nella verità, perché ha una vis – forza, vis evangelii – distruttrice del demonio e purificatrice come acqua e fuoco dello Spirito, e infine creatrice perché «trasforma nell’essere di Dio». Saremo capaci di presentare così la prima parte della Santa Messa?«E allora come stanno le cose nella nostra vita?» – domanda il Papa a se stesso, a noi tutti, ai suoi collaboratori – e indaga con un esame di coscienza a doppio taglio che ci scruta. Seguiamo il mondo con i suoi pensieri e mode, oppure Lui? Altrimenti non ci si deve stupire del montare della «superbia distruttiva e la presunzione, che disgregano ogni comunità e finiscono nella violenza. Sappiamo noi imparare da Cristo la retta umiltà – quante volte ricorre tale parola nella liturgia! – che corrisponde alla verità del nostro essere, e quell’obbedienza, che si sottomette alla verità, alla volontà di Dio?».Insomma dalla parola di Dio si schiude l’accesso alla verità di cui bisogna diventare ed essere discepoli sempre di nuovo. Anzi, in Cristo che è la Verità accade il «rendili una sola cosa con me… Lègali a me. Tirali dentro di me» – e qui è il passaggio alla liturgia eucaristica, al sacrificio. Questa è l’unità vera, ecumenica e non; questa è la comunione: unificarsi a Lui. «Sostanzialmente essa ci è stata donata per sempre nel Sacramento». In specie per il sacerdote – a maggior ragione quando celebra – «L’unirsi a Cristo suppone la rinuncia. Comporta che non vogliamo imporre la nostra strada e la nostra volontà: che non desideriamo diventare questo o quest’altro, ma ci abbandoniamo a lui, ovunque e in qualunque modo Egli voglia servirsi di noi… Nel “sì” dell’Ordinazione sacerdotale abbiamo fatto questa rinuncia fondamentale al voler essere autonomi, alla “autorealizzazione”». Solo così la liturgia diventa servizio di Dio, anzi preghiera! Pregare «è un semplice presentare noi stessi davanti a Lui». Essere ammessi alla Sua presenza, cioè, a compiere il servizio sacerdotale.Ed ecco il passaggio dalla preghiera personale a quella pubblica: «Ma affinché questo non diventi un autocontemplarsi – quanta liturgia è così (cf. meditazione alla IX stazione della Via Crucis 2005) – è importante che impariamo continuamente a pregare pregando con la Chiesa. Celebrare l’Eucaristia vuol dire pregare. Celebriamo l’Eucaristia in modo giusto, se col nostro pensiero e col nostro essere entriamo nelle parole che la Chiesa ci propone»: qui c’è tutto il giudizio sulla cosiddetta creatività che è invece un uscire dalle parole della liturgia per preferire le nostre parole. «In essa è presente la preghiera di tutte le generazioni, le quali ci prendono con sé sulla via verso il Signore»: la liturgia appartiene alla Tradizione con la T maiuscola. «E come sacerdoti siamo nella Celebrazione eucaristica coloro che, con la loro preghiera, fanno strada alla preghiera dei fedeli di oggi». Ed ecco il tocco ascetico: «Se noi siamo interiormente uniti alle parole della preghiera, se da esse ci lasciamo guidare e trasformare, allora anche i fedeli trovano l’accesso a quelle parole. Allora tutti diventiamo veramente “un corpo solo e un’anima sola” con Cristo». E si realizzerà l’unità dei cristiani. Qui la liturgia del Sacrificio diventa Comunione santa al Corpo e al Sangue.Non è finita: l’immersione nella verità e santità di Dio vuol dire «anche accettare il carattere esigente della verità; contrapporsi nelle cose grandi come in quelle piccole alla menzogna che in modo così svariato è presente nel mondo… neppure dimenticare che in Gesù Cristo verità e amore sono una cosa sola. Essere immersi in Lui significa essere immersi nella sua bontà, nell’amore vero». E ritorniamo alla caratteristica che fa del culto cristiano un culto logico: essere offerta razionale di se stessi: «Cristo chiede per i discepoli la vera santificazione, che trasforma il loro essere, loro stessi; che non rimanga una forma rituale, ma sia un vero divenire proprietà di Dio stesso. Potremmo anche dire: Cristo ha chiesto per noi il sacramento che ci tocca nella profondità del nostro essere». Questo ogni giorno deve diventare vita. Perciò «la rivelazione diventa liturgia» (Gesù di Nazaret, p. 356).Nella liturgia il Signore ci immerge in se stesso e ci fa diventare «uomini di verità, uomini di amore, uomini di Dio».

Fonte Zenit © Innovative Media, Inc.