giovedì 30 aprile 2009

I vescovi tedeschi stoppano la nomina di un cattoprogressista

Messainlatino.it

I Vescovi tedeschi hanno opposto il loro veto alla nomina del previsto Presidente (non aveva competitori per le elezioni interne) del Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (Zentralkomittee der deutschen Katholiken), la principale organizzazione laicale di Germania (come il sinistro nome "comitato centrale" lascia indovinare) e forse la più grande del genere nel mondo. Il candidato era Heinz Wilhelm Brockmann (nella foto), Segretario di Stato del Ministero della Cultura del Land Hessen; il suo partito è la CDU (il partito cristiano democratico). Brockmann ha spiegato ai media che è importante che i Cattolici partecipino alla società civile e si confrontino con temi essenziali come il clima, l'educazione, il comportamento etico in economia.
Avrebbe dovuto essere eletto alla Presidenza (anche perché non ci sono altri candidati) il prossimo otto maggio, fortemente spinto dai vari consigli pastorali diocesani. Sennonché lo statuto dell'organizzazione richiede che la conferenza episcopale approvi l'elezione del nuovo presidente con una maggioranza di due terzi; e richiesta di un'approvazione preventiva, la conferenza episcopale l'ha respinta a maggioranza.
Il vescovo di Osnabrück, Mons. Franz-Josef Bode, ha ritenuto molto spiacevole la decisione dei suoi confratelli, che tra l'altro non ha precedenti; il portavoce del vescovo ha osservato come mons. Bode ritenesse il candidato "ben qualificato" per l'importante posizione.
Perché dunque la (lodevolissima) bocciatura?
Perché Brockmann è attivo da sempre in corpi laicali il cui obiettivo è minare dall'interno la Chiesa.
Egli è vicino a gruppi dissidenti, nostalgici degli anni Sessanta e Settanta, come Chiesa Popolare, Chiesa dal basso, e simili.
E' cofondatore dell'organizzazione di consultori Donum Vitae che, a dispetto del nome, si occupa di rilasciare alle madri incinte i certificati, richiesti dalla legge tedesca, per avere accesso all'aborto.
Quando la Chiesa tedesca volle separarsi dalle sue responsabilità in simili organizzazioni abortiste, Brockmann definì la scelta "un disastro".
Infine, profittando del suo impegno politico, si è battuto per l'insegnamento della religione islamica nelle scuole.Riconosciamo dunque merito, in questo frangente, ai vescovi tedeschi. Forse qualcosa si muove.

Fonte: Cathcon

Liturgia, Ranjith va a Colombo. La salute di Canizares




Ormai è deciso e la pubblicazione della nomina potrebbe essere resa nota già sabato prossimo: monsignor Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, attuale segretario della Congregazione del culto divino, lascia una seconda volta la Curia romana per tornare oin Sri Lanka. Sarà nominato arcivescovo di Colombo, e non si esclude, per lui, la berretta cardinalizia in un prossimo concistoro. Vescovo ausiliare di Colombo nel 1991, nel novembre 1995 gli venne assegnata la diocesi cingalese di Ratnapura. Sei anni dopo, nell’ottobre 2001, Papa Wojtyla lo nominò segretario aggiunto della Congregazione di Propaganda Fide, guidata dal cardinale Crescenzio Sepe. I due non andarono molto d’accordo, e così, a sorpresa, nell’aprile 2004 Ranjith - che non apparteneva al servizio diplomatico della Santa Sede - fu nominato nunzio apostolico in Indonesia e Timor Est. Il prelato, ben conosciuto dall’allora cardinale Ratzinger, considerò l’allontanamento un’ingiusta punizione. Nessuno si sorprese, dunque, che Benedetto XVI, pochi mesi dopo l’elezione, nel dicembre 2005, lo richiamasse a Roma come segretario del Culto divino. Tutti pensavano che, al momento della pensione per l’allora Prefetto, il cardinale nigeriano Francis Arinze, sarebbe toccato al suo vice di prenderne il posto. Considerato dagli avversari troppo vicino ai tradizionalisti e ai lefebvriani, a causa anche di qualche intervista improvvida dai toni poco misurati, Ranjith ha visto prima sfumare la possibilità della successione ad Arinze (anche se il nome dell’attuale Prefetto, il pororato spagnolo Antonio Canizares Llovera, era tra quelli suggeriti da lui), e ora viene allontanato per la seconda volta dalla Curia romana. La sua presenza in prima linea sulla frontiera asiatica sarà importante, perché lì si gioca una sfida decisiva per la Chiesa. Ma è difficile non considerare la nomina un promoveatur ut amoveatur. Si conferma così quello della liturgia come un ambito delicatissimo, teatro di “battaglie” tra impostazioni diverse. Ed è significativo che Papa Ratzinger abbia deciso di affidare il dialogo con i lefebvriani non alla Congregazione del Culto, ma a quella per la Dottrina della Fede. Dal fine della scorsa settimana, il cardinale Canizares è ricoverato al Policlinico Gemelli per una tromboflebite (ne ha dato notizia il quotidiano spagnolo ABC). Lo stress delle ultime settimane, legato alla designazione del successore di Ranjith, ne ha aggravato le conseguenze. Il porporato, che si sta riprendendo bene, dovrà rimanere in ospedale per due settimane e dunque - se la nomina a Colombo di Ranjith sarà resa nota già sabato - difficilmente sarà contestualmente annunciato anche il suo successore, sul cui nome nei sacri palazzi si è giocata una non facile partita. Sarà, con tutta probabilità, un vescovo anglofono. Si tratta di una nomina delicatissima e ben ponderata: il nuovo segretario avrà infatti un ruolo chiave per poter contribuire a pacificare finalmente il “campo di battaglia” liturgico, attuando al contempo con moderazione, a piccoli passi, ma con determinazione, quella “riforma della riforma” liturgica tanto auspicata da Benedetto XVI: senza inutili nostalgie per il passato né sterili formalismi, guardando al futuro nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II e al tempo stesso correggendo con pazienza storture e abusi liturgici. Negli ultimi anni i segretari del Culto si sono avvicendati con una frequenza che non ha precedenti negli altri dicasteri curiali. In molti si augurano che questa volta la scelta sia ben ponderata e l’eletto abbia davanti a sé un tempo sufficiente per ambientarsi e collaborare efficacemente con il Prefetto Canizares e con il Papa.


Fonte Sacri Palazzi

venerdì 24 aprile 2009

Il Cardinale Biffi rompe il silenzio e si schiera con Benedetto XVI: “Contro di lui i profeti del niente”


tratto da Petrus


CITTA’ DEL VATICANO - Al Papa spetta sempre l'ultima parola per le questioni di Chiesa, quelle legate alla fede, perché "è sempre il normale punto di riferimento" e a lui tocca quindi "l'ultimo insindacabile giudizio nell'indirizzo pastorale". Il Cardinale Giacomo Biffi torna a parlare dopo anni di silenzio. E difende con tutte le forze Benedetto XVI, attaccato a più riprese da "molti profeti del niente". Lo fa appoggiandosi all'Arcivescovo di Canterbury, Sant'Anselmo, nel giorno in cui la Chiesa ricorda la sua morte avvenuta nel 1109. In qualità di inviato speciale del Pontefice, Biffi presiede nella cattedrale di Aosta la Messa in occasione delle celebrazioni del IX centenario della morte di Sant'Anselmo. E' dal 2004, da quando ha lasciato per sopraggiunti limiti d'età la sede arcivescovile di Bologna, che il Cardinale non esponeva in pubblico sue riflessioni, a parte alcune pubblicazioni e la predicazione lo scorso anno degli esercizi spirituali del Papa. Orarompe ogni indugio e nell'omelia sferra un attacco implicito, ma duro a chi, anche all'interno della Chiesa, non ha risparmiato critiche ad alcune recenti posizioni di Benedetto XVI. "Non perdete mai di vista la funzione primaria e insostituibile della Sede di Pietro", dice Biffi ricordando la parola di Anselmo durante il suo pontificato in Inghilterra. Anselmo è rimasto "solo" come apparentemente pare rimanere solo, davanti a certe posizioni di alcuni vescovi, anche l'attuale Papa. "Anselmo - spiega il Cardinale nella sua omelia - sa che a Pietro e ai suoi successori (e non ad altri) Gesù ha detto: 'Conferma i tuoi fratelli'; sa che a Pietro e ai suoi successori (e non ai vari opinionisti nella sacra doctrina, per quanto dotti e geniali) Gesù ha promesso: 'Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli'; sa che a Pietro e ai suoi successori (e non all'una o all'altra colleganza ecclesiastica o culturale) Gesù ha dato il compito di pascere l'intero suo gregge". "Anche noi - continua - non dobbiamo mai dimenticarlo: la Sede Apostolica è sempre il normale punto di riferimento e l'ultimo insindacabile giudizio per ogni problema che riguarda la verità rivelata, la disciplina ecclesiale, l'indirizzo pastorale da scegliere". Il messaggio dell'Arcivescovo di Canterbury è ancora attuale: "Di questi nostri tempi che così spesso sono costretti ad ascoltare dai più diversi pulpiti la voce baldanzosa dei molti profeti del niente e i discorsi dei compiaciuti assertori di un destino umano senza plausibilità, senza significato, senza speranza". L'ex vescovo di Bologna prende di mira anche chi "giudica fede e ragione" come "due forme di cognizione tra loro incompatibili e del tutto alternative". "Nella cultura odierna, condizionata e dominata da un soggettivismo assoluto - rimarca Biffi - si va affermando altresì una visione pessimistica della naturale conoscenza umana. L'uomo (così pensano in molti) non è in grado di approdare a nessuna verità, che non sia provvisoria e intrinsecamente relativa. Quando si tratta delle questioni che contano - sulla nostra origine, sulla sorte ultima dell'uomo, su una qualche persuasiva ragione del nostro esistere - le certezze oggi vengono addirittura irrise e persino colpevolizzate. Le domande più serie, quando non sono censurate sul nascere dalle varie ideologie dominanti, sono consentite solo come premessa e impulso alla proliferazione dei dubbi".

Il card. Cañizares ripristina la comunione in ginocchio




Nel giorno in cui il card. Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha solennemente pontificato col rito antico in San Giovanni in Laterano, siamo lieti di riferire la notizia che egli, già Arcivescovo di Toledo ed ancora Amministratore apostolico di quell'arcidiocesi (in attesa dell'ingresso del nominato Braulio Rodrìguez Plaza, finora arcivescovo di Valladolid), ha ristabilito le balaustre per la comunione nella cattedrale ed incoraggiato i fedeli a comunicarsi in ginocchio e sulla lingua.
Egli spiega questa scelta in una lunga intervista al quotidiano spagnolo ABC, di cui traduciamo alcuni passaggi significativi
- Alcuni giorni fa, Lei ha invitato i fedeli a ricevere la S. Comunione in ginocchio. La Chiesa, riformando in questo modo la liturgia, si avvicina all'uomo?
La comunione in ginocchio significa il rispetto di Dio; è il cuore dell'uomo che si prosterna davanti a Colui che lo ama fino all'estremo. Sono dei segni. Non si tratta di cambiare per cambiare. Si tratta di coinvolgere tutti i sensi e sormontare la secolarizzazione del nostro mondo. Uno degli obbiettivi delle nostre Congregazioni è realizzare nel corso di questi anni una grande campagna di formazione liturgica.
-Lei è stato un rivoluzionario della liturgia. Da quanto è arrivato a Toledo ha cambiato tutto: il Corpus Domini, con due processioni; o l'ultima Settimana Santa, facendo entrare tutte le processioni nella cattedrale. La città è stata come un campo di prova per il suo nuovo ministero.
Credo che sia quel che Dio e la Chiesa ci chiedono. Il rinnovamento liturgico non è fare cose nuove ma entrare realmente nello spirito della liturgia. Per esempio, il Corpus Domini, è semplicemente una festa culturale del nostro caro popolo di Toledo, o è realmente l'espressione di ciò che è essere cristiano nella sua radice e fondamento?
- Immagino che anche quest'anno ci saranno due processioni e che Lei presiederà le celebrazioni del Corpus Domini. Crede che il suo successore farà altrettanto?
Perché no, perché non dovrebbe mantenere ciò che è bene? Perché questo è bene.
- Ha già parlato di questo con mons. Rodrìguez?
Non ne abbiamo parlato, tuttavia abbiamo molto tempo per parlare e vedere quali sono le motivazioni. Però in tutti i casi, che si dedichi all'Eucarestia il luogo centrale della città di Toledo, che è profondamente eucaristica e riposa su questa identità, è cosa molto buona.
E poiché il buon esempio è diffusivo, altre due diocesi spagnole a partire dalla Settimana Santa hanno disposto inginocchiatoi per la comunione: quella di Malaga e quella castrense (la cui cattedrale si trova a Madrid).

domenica 19 aprile 2009

La Fraternità San Pio X espelle un altro prete


Dopo l'italiano don Abramowicz, cacciato dalla Fraternità per le sue stolte affermazioni negazioniste (tra l'altro pronunziate nel bel mezzo della tempesta Williamson, quindi con l'intento di nuocere al massimo grado), il Superiore dei lefebvriani Mons. Fellay (nella foto) ha ora espulso dalla Fraternità Basilio Méramo.
Questa volta gli Ebrei non c'entrano affatto: Méramo si è distinto per le forti proteste contro i tentativi di mons. Fellay di riavvicinare la Fraternità "alla Roma modernista e liberale": ha considerato la lettera di ringraziamento al Papa per la revoca delle scomuniche un tradimento, poiché equivarrebbe a suo dire a riconoscere che quelle scomuniche erano effettivamente valide; infine ha proposto una mozione per far dichiarare le decadenza di mons. Fellay dal suo incarico di Superiore Generale.
La tesi di fondo del rev. Méramo è che Benedetto XVI stia ordendo una sorta di complotto per riassorbire e neutralizzare gli ultimi difensori della tradizione, ossia la Fraternità: di qui la sua rumorosa opposizione.

Pur nella drammaticità del caso umano, riteniamo salutare e positiva quest'opera di eliminazione, all'interno della Fraternità, degli elementi più estremisti e refrattari. Già mons. Lefebvre aveva allontanato decine di sedevacantisti, palesi o meno, dai ranghi della Fraternità; è giusto che mons. Fellay ne segua l'esempio. La Tradizione, minoritaria e pesantemente sotto attacco, non può permettersi di offrire ai progressisti il fianco, con fin troppo facili argomenti, mostrandosi compromessa con cripto-sedevacantisti, estremisti privi di elementare buon senso e spirito di carità, negazionisti e complottisti lunatici di vario genere. C'è già Williamson, basta ed avanza...

sabato 18 aprile 2009

Un bilancio 'generazionale' del motu proprio secondo un liturgista "di rottura"

tratto da MESSAINLATINO.IT

Nel blog di Matias Augé è pubblicato un post che riporta la conclusione di un più ampio articolo comparso sull'ultimo numero di Concilium, la rivista che, come ci ricorda l'abbé Barthe, esprime l'ideologia del Concilio Vaticano II come rottura e nuovo inizio della Chiesa rispetto ad un passato da rigettare. Il titolo dell'articolo in questione è programmatico ("Un bilancio del motu proprio Summorum pontificum. Quattro paradossi e una intenzione dimenticata") e ne è autore il liturgista Andrea Grillo. Famigerato perché suoi sono alcuni degli attacchi più virulenti alla liberalizzazione dell'antico rito e sempre lui, che nella diocesi di origine (Savona) esercita, benché laico, un potere considerevole, fu l'eminenza grigia (anzi, nemmeno celata, ma palese) che ispirò quel famoso provvedimento dell'allora amministratore diocesano che semplicemente vietò l'applicazione del motu proprio del Papa nella diocesi... Con quanta legittimità, lo lasciamo giudicare anche al lettore più ignaro di diritto canonico e di ecclesiologia. Per inciso, quel divieto, a quanto sembra, vige tuttora con il vescovo Lupi.
Ma torniamo all'argomento: ecco la parte dell'articolo di Grillo pubblicata da don Augé. Non si può negare che sviluppi argomenti nuovi per negare legittimità al motu proprio: a quanto pare non è ancora finita la scorta di specchi da scalare...
Lo “sviluppo organico” della tradizione liturgica comporta inevitabili “svolte”, con una continuità che ha bisogno di alcune vitali discontinuità. Come accade alle generazioni – dove il figlio è pienamente figlio solo quando il padre non gli è più vicino – un rito di Paolo VI, che avesse sempre accanto il rito di Pio V, resterebbe perennemente infantile e fragile, non crescerebbe mai fino alla maturità; mentre un rito di Pio V che non si rassegnasse a perdersi e a ritrovarsi nel figlio, cadrebbe in un paternalismo invadente e in un moralismo senza vera fiducia.Forse ciò che oggi ci manca in misura maggiore è proprio la coscienza di una tale dimensione generazionale e pedagogica del concilio Vaticano II, che era ancora cosciente di avere bisogno di figli e di nipoti perché la tradizione antica potesse avere un seguito e che pertanto poteva considerare il proprio munus come “inizio di un inizio” e non semplicemente come “continuazione di un traditum”, senza la pretesa di “cominciare ex novo”, ovviamente, ma anche senza la presunzione di poter “continuare senza novità”.Il conflitto di interpretazioni che oggi attraversa pericolosamente la coscienza ecclesiale in re liturgica dipende in larga parte dalla mancanza di questa autentica preoccupazione tradizionale “per i figli e per i nipoti”, che noi oggi possiamo recuperare riscoprendo accuratamente le evidenze che hanno guidato il Movimento liturgico originario e la riforma liturgica a impostare una seria risposta alla “questione liturgica”: che la liturgia cristiana possa ancora “generare fede”, possa ancora essere fons di azione ecclesiale e di spiritualità personale, questa è l’unica speranza che la riforma liturgica aveva come obiettivo e che noi non possiamo né ignorare né sottovalutare.Tale istanza non ha cessato di interrogarci e di provocarci, purché non abbiamo deciso – ad un tempo disperatamente e presuntuosamente – di essere gli ultimi cristiani ancora fedeli ad una grande tradizione (solo) antica, ridotta alla figura di un passato prezioso da chiudere in un museo, con aria condizionata e sistemi di sicurezza, ma senza vita e senza figli.
Traduciamo il Grillo in soldoni: il rito di S. Pio V va abbandonato del tutto, perché se esso restasse accanto a quello di Paolo VI, quest'ultimo resterebbe sotto tutela ed impedito di svilupparsi e librarsi in llibertà, così frustrando la giusta e naturale inclinazione di ogni generazione ad affrancarsi dalla figura paterna e a costruire qualcosa di nuovo.
Tra le mille altre obiezioni che si potrebbero opporre a questo specioso argomento (e che lasciamo ai nostri volenterosi commentatori), vogliamo dire solo questo, restando nel discorso "generazionale" lambiccato dal Grillo: è vero che c'è uno scontro tra generazioni, ma non perché i figli si sentano zavorrati dai padri e dal loro rito obsoleto: noi infatti siamo i nipoti, figli di quei figli alla Grillo che hanno dilapidato e buttato via, per cieca presunzione, l'ingente patrimonio dei nonni. Ora noi, eredi dei debiti e delle follie della generazione precedente (di cui Grillo è loquace esponente), non facciamo altro che tentare di recuperare una piccola parte delle ricchezze di famiglia, di cui i nostri padri ci hanno ingiustamente privato.