di Don Marcello Stanzione
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CITTA’ DEL VATICANO - L’articolo del Direttore Gianluca Barile sulle ombre del Cammino Neocatecumenale ha suscitato tra i lettori di ‘Petrus’ consensi entusiastici ma anche numerosissime email di protesta e addirittura di minacce. Mi permetto di inserirmi nel dibattito non solo per il mio ruolo di sacerdote e di nuovo vicedirettore di questo giornale on-line ma anche per l’esperienza che mi ha portato a conoscere il Cammino Neocatecumenale tra i 27 e i 34 anni di età. Da novello sacerdote, in quel periodo con entusiasmo accolsi il Cammino dando il meglio di me stesso ma, dopo un certo numero di anni, conoscendolo sempre meglio fui costretto dalla mia coscienza sacerdotale ad ammettere con profondissima amarezza che proprio io, che allora ero il responsabile diocesano del GRIS (Gruppo Ricerca e Informazioni Sette) e che combattevo in modo particolare i Testimoni di Geova, avevo installato una vera e propria setta nella mia Chiesa accogliendo. Da allora, ho sempre affermato che il Cammino Neocatecumenale è stato una delle più grandi fregature della mia vita! C’è molto di discutibile nella prassi catechistica e liturgica del Cammino, a questo riguardo sono da leggere gli interessanti testi dottrinali di sacerdoti come il compianto Padre Enrico Zoffoli, don Gino Conti e don Elio Marighetto. Il Cammino, dopo i successi pastorali iniziali, si sta rivelando sempre più un gigante dai piedi di argilla: moltissimi parroci, conoscendo il vero volto del Cammino, l’hanno soppresso e dove esso rimane è costretto per lo più a vivacchiare. Ormai gli ex Neocatecumenali sono un esercito, ed hanno aperto pure siti internet per mettere in guardia altri cattolici ingenui dal pericolo dei “Kikiani”. Questo termine non è dispregiativo, ma all’interno del Cammino esiste un vero e proprio culto della personalità di Kiko Arguello, l’iniziatore. I canti sono musicati da Kiko e spesso i cantori scimmiottano Kiko nel loro modo spagnoleggiante di cantare. Anche le immagini sacre sono dipinte da Kiko, che è l’unico “conducator”. Sapete, poi, perché i Neocatecumenali parlano tutti allo stesso modo? Perché ripetono per filo e per segno espressioni tratte dalle catechesi di Kiko. Non esiste nell’ambito del cattolicesimo gruppo che sia così fortemente plasmato sulla personalità del fondatore. Indubbiamente il Cammino Neocatecumenale si presenta all’apparenza con un grande merito: quello di sforzarsi di mettere in pratica nei Paesi cattolici occidentali L'Ordo initiationis christianae adultorum, che poteva creare un profondo rinnovamento pastorale; purtroppo il suo capitolo IV, dal titolo: Preparazione alla Confermazione e all'Eucarestia degli adulti battezzati da bambini, che non hanno ricevuto la catechesi, è stato in genere eluso dalla nostra pastorale parrocchiale ordinaria con un ragionamento altrettanto semplice quanto equivoco: i nostri adulti, sebbene apostati ed infedeli di fatto, sebbene diventati dogmaticamente indifferenti e moralmente relativisti, hanno ricevuto la Confermazione e l'Eucarestia quindi l'iniziazione cristiana sarebbe questione che riguarda le missioni ad gentes fatta dagli istitituti missionari ed in definitiva il capitolo IV dell'Ordo si riduce ad essere applicabile in casi più unici che rari. E' chiaro, invece, che quando parliamo oggi di iniziazione cristiana in Paesi di antica fede cattolica, ne parliamo in senso analogico rispetto all'antica prassi dell'iniziazione cristiana e rispetto alla sua prassi nelle missioni ad gentes. Il grande merito che il movimento Neocatecumenale si attribuisce è proprio quello di avere riscoperto l'iniziazione cristiana degli adulti e di averla adattata, appunto, non solo ai lontani che hanno rotto ogni rapporto con la Chiesa dopo il Battesimo, ma anche ai cristiani abbondantemente sacramentalizzati, ma rimasti immaturi ed infantili nella fede. E' risaputo che i movimenti, a lungo andare, inevitabilmente si istituzionalizzano, perdendo così almeno parte della loro forza carismatica. I movimenti, nella Chiesa, sono tanti; e nessuno di essi può arrogarsi diritti di primogenitura o esclusiva di autenticità cristiana. Per questo motivo, accanto ai meriti e ai pregi, tutti i movimenti denunciano limiti e rischi. L'esortazione al discernimento e all'equilibrio, ricorrente nei documenti magisteriali relativi ai movimenti, torna di grande opportunità e deve essere tenuta in conto con grande umiltà. Quali sono i limiti e i rischi del movimento Neocatecumenale e del suo metodo catechistico? Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, parlando dell'esperienza Neocatecumenale, in un discorso nella parrocchia romana dei Santi Martiri Canadesi, usò espressioni come "sana radicalizzazione del nostro cristianesimo" e "autentico radicalismo evangelico" (cf. Osservatore Romano del 3-4 novembre 1980). Tali espressioni vanno collocate non solo nel contesto di un discorso, ma nel contesto generale del pensiero del Pontefice. Espunte da tale contesto, possono dar luogo a visioni illusorie del popolo cristiano, oppure a distinzioni e discriminazioni tra gruppi di eletti e masse di reietti, irrecuperabili, per i quali non vale la pena di "spendere tutto e spendere anche se stessi". Si può arrivare ad isolare alcune - poche - centinaia di catecumeni da una comunità parrocchiale di qualche decina di migliaia di persone e, a quelli, imbandire una ricca mensa della Parola, dei sacramenti, della carità, con cibi raffinati e genuini e, alla comunità parrocchiale... massiva, offrire soltanto un minimarket di precotti, cellofanati? Questo rischio è gravemente incombente laddove il parroco viene catturato dal Movimento e diventa il presbitero della comunità Neocatecumenale, rinunciando, almeno di fatto, ad essere il pastore di tutti i cattolici affidati alla sua responsabilità. E la cattura è tanto più deleteria quanto più referente del presbitero-parroco è la comunità neocatecumenale piuttosto che il proprio vescovo, e quanto più il presbitero-parroco rimuove dal suo orizzonte pastorale il piano pastorale della diocesi e i conseguenti impegni a favore del progetto e degli impegni indicati dal Movimento Neocatecumenale. E' giusto parlare di "radicalità evangelica": ma di quale radicalità? Per quanto riguarda più specificamente la catechesi, non c'è alcun dubbio che essa va fatta - andrebbe fatta! - con la lettura della Bibbia, contrapponendo una lettura sapienziale ad una lettura teologica, definita questa spregiativamente come intellettuale, quasi che l'obbedienza della fede dovuta a Dio non comporti prestare a Lui anche l'ossequio dell'intelligenza (cf Dei Verbum 5). Un altro rischio cui è esposta la catechesi Neocatecumenale è quello del plagio. E' il rischio di ogni catechesi, anzi di ogni attività formativa, di tutta la pastorale, quando è disincarnata, quando cioè è avulsa dal conteso culturale, quando non ritiene di doversi coniugare con essa, quando presume di dover solo dare, senza ricevere alcunché dalla ricchezza che pure è disseminata nel mondo e nell'umanità dalla multiforme sapienza di Dio. E’ insita, in questo, una tendenza ad accentuare il carattere penitenziale - un tantino esposto al rischio del manicheismo - della conversione, anziché l'amore di Dio che muove e che salva e l'azione di Cristo che ricapitola in sé tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra (cf. Ef. 1,10). In questa sorta di radicalità rientra l'interpretazione letterale della "comunione dei beni", citando Atti 2, 42-45, cui è tentato il Cammino, dimenticando o ignorando non solo il clima di imminenza della seconda venuta di Cristo in cui viveva la comunità di Gerusalemme, ma soprattutto la distinzione fatta da Gesù tra vocazione ordinaria alla vita eterna e vocazione speciale ad una sua particolare e funzionale sequela (cf Mt. 19,21; cf pure Lc. 19,8: Zaccheo dà la metà dei suoi beni ai poveri; e Gesù dice che la salvezza è entrata nella sua casa). Tantissime altre osservazioni critiche si potrebbero fare (tra l’altro ben documentati dai testi dei sacerdoti sopraccitati, in genere stampati dalla editrice Segno di Udine); ancora si potrebbe rilevare l'eccessivo impianto tecnico del lungo ed eccessivo Cammino Neocatecumenale, o una terminologia iniziatica, erudita, piena di termini ebraici vetero testamentari in contrasto con la semplicità del rapporto con la parola di Dio, pur invocata, o la centralità ontologica della Parola rispetto all'Eucarestia. In conclusione una cosa è certa: Benedetto XVI sarà il Papa che correggerà gli abusi dottrinali e liturgici che per troppi anni impunemente il Cammino ha diffuso nelle parrocchie. Kiko Arguello ascolti e metta in pratica quello che i vari dicasteri romani, voce del Santo Padre, gli correggono del Cammino e obbedisca prontamente.
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1 commento:
ottimo aticolo,
complimenti.
sono d'accordo.ci vorrebbero più sacerdoti come questo autore dell'articolo.
viva il Papa.
francesco.
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