domenica 27 luglio 2008

Testamento biologico, quali considerazioni?

da zenit.org

ROMA, domenica, 27 luglio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l'intervento di Chiara Mantovani, Presidente dell'Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI) di Ferrara e Presidente di Scienza & Vita di Ferrara, in risposta alle questioni sollevate da due lettori di ZENIT a commento di articoli che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi, rispettivamente Il caso Eluana e la dimensione della dipendenza e Il caso Eluana, quando i giudici vanno contro la Costituzione.
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Mi spiace ma non sono d'accordo: io non voglio diventare un soprammobile sopra un letto. Io non voglio dipendere da un sondino e da un respiratore. Io esisto solo se indipendente. E sono convinto che le macchine che tengono in vita Eluana e prima di lei Piergiorgio Welby siano una violenza contro la natura: la vita umana finisce quando si smette di respirare, poco importa se cuore e cervello vivano ancora. Non respiro più? Allora sono morto e voglio essere decretato morto. Questo pretendo di poter scrivere sul mio testamento biologico se mai ci sarà: io rifiuto l'alimentazione e la respirazione artificiale a meno che non siano trattamenti reversibili, se io posso sopravvivere solo grazie a tubi allora chiedo di essere lasciato morire perché i tubi impediscono la morte naturale.

D.R.

Gentile signor R.,

mi permetta di dirle che nessuno diventa mai un soprammobile su di un letto! Si immagina come sarebbe il nostro mondo, se così avessero pensato i medici e le persone che degli ammalati (non delle malattie!) hanno fatto la loro ragione di vita fino all'eroismo laico e alla santità? Un immenso lazzaretto, nella migliore delle ipotesi. O forse una landa deserta, visto che non ci sarebbero molti uomini in giro.

Vorrei inoltre dirle con tutta la dolcezza ma anche la competenza necessarie che Eluana non è tenuta in vita da alcuna macchina: non ha il respiratore, respira da sola. Non ha bisogno di dialisi, i suoi reni funzionano. Non ha alcun tubo, solo alla notte le viene collegato un tubicino simile a quello delle flebo che le porta acqua e sostanze nutritive nello stomaco. Non ci sarà alcuna spina da staccare, per farla morire: solo (!) non le sarà più dato né da bere né da mangiare. Anche il biberon è artificiale, ma il neonato lo rivendica molto rumorosamente: Eluana non può.

Dimenticavo: si dovranno darle molti farmaci per lenire il grido silenzioso che la sua biologia (umana, forse più della nostra titubanza) violentemente renderà evidente. Farmaci di cui ora non ha alcun bisogno: antidolorifici, anticonvulsivi, tranquillanti. Forse tramite un sondino simile a quello che ora le consente di non morire, forse con endovene.

E da ultimo (ma non per importanza): mi dispiace, ma nessuno di noi è davvero indipendente. Provi a pensare a quanto si sta male se gli altri, o almeno qualcuno, non si prende cura di noi! "Io esisto solo se indipendente", lei ha scritto; è vero piuttosto il contrario: ciascuno esiste solo perché Qualcuno si prende cura di lui.

Tanti cari auguri

in J et M

Chiara Mantovani

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Ho seguito con interesse la dotta disquisizione giuridica costituzionale ma non ho capito poi alla fine le conclusioni.

Sembra infatti che il testamento biologico non sia accettabile da un punto di vista, non solo etico religioso e questo è ovvio anche per me, ma anche dal punto di vista della libertà personale di non voler essere tenuto in vita a ogni costo perché comunque (il paradosso) alla fine sono altri a decidere.

Nel caso delle disposizioni testamentarie è valido quello che è stato detto e scritto dal defunto in un momento di pieno possesso delle facoltà mentali anche molti anni prima della morte; a nessuno verrebbe in mente di impugnare un testamento dicendo che forse in punto di morte il defunto se avesse potuto lo avrebbe cambiato.

Il problema purtroppo è che se si affronta il caso da un punto di vista etico religioso la risposta è scontata e semplice, ma entrando nel diritto allora ci si accorge che il problema non è poi così semplice e che occorrono quindi delle leggi giuste da seguire che attualmente mancano; vista poi la serietà dell'argomento dovrebbe essere vietata la manipolazione e l'interpretazione di parte di quel poco che si può evincere e capire dal diritto vigente e da quanto scritto nella nostra costituzione.

V.R.

Caro signor R.,

non so entrare nel merito giuridico delle sue considerazioni, ma mi sento di proporle una domanda. La mia sostanziale avversione nei confronti del testamento biologico nasce da essa: la vita è un bene alla pari di quelli patrimoniali? La legge italiana (se non sbaglio) permette che io disponga dei miei beni materiali ma non completamente, poiché - mi piaccia o no - una quota di essi andrà comunque al miei familiari, dal momento che anche su ciò che è mio a tutti gli effetti vige comunque un obbligo di provvedere a coloro che fanno parte della mia prima società di origine, la famiglia. E' come se - dal mio punto di vista giustamente - si considerasse il patrimonio come avente una valenza sociale, non solo strettamente privata. Bene, se questo ha una sua ratio per quanto riguarda la proprietà delle cose, a maggior ragione non dovrebbe valere per ciò che è più importante delle cose, ovvero la vita?

Se mi considero un individuo, solo e bastante a me stesso, se non reputo di avere importanza per la costruzione di una società, allora più facilmente anche la mia vita sarà un accessorio isolato di cui disporre a pieno piacimento. Ma se sono consapevole che è la mia vita, io stesso, ciò che costruisce anche il vivere altrui, allora avrò nei suoi confronti una stima ed una considerazione più alti.

Resto del parere che, al di là dei pur gravi problemi giuridici, la questione essenziale riguardi l'antropologia: che cosa pensiamo davvero che valga la vita umana.

E anche il legislatore e il giudice credo siano tenuti a dichiarare, in testa ad ogni loro pronunciamento, a quale ordine di valori fanno riferimento.

Grazie per il suo stimolante contributo

cordialmente

in J et M

Chiara Mantovani

venerdì 18 luglio 2008

“Ambiente, aborto, violenza, droga e sesso indiscriminato le vere cicatrici della società moderna”

www.papanews.it

SYDNEY (AUSTRALIA) - Il Papa a 'tu per tu' con 500mila giovani; il Papa preoccupato per le ferite della società, "cicatrici" che partono dalla mancanza di rispetto per l'ambiente, attraversando il degrado sociale e l'habitat umano, fino all'emergenza morale - droga e sesso - e fino alla violenza del grembo materno. Un'analisi chiara e a 360 gradi quella che Benedetto XVI ha fatto a Sydney, di fronte a oltre 140mila pellegrini (mezzo milione in tutta la città) che si sono radunati sin dalle prime ore dell’alba nella baia di Barangaroo, per la festa di accoglienza al successore di Pietro in occasione della XXIII edizione della Giornata Mondiale della Gioventù. Primo bagno di folla, dunque, per il Pontefice, arrivato al molo a bordo di un mega-battello che ha attraversato le baie della capitale australiana. Suggestiva la cerimonia in stile aborigeno, tra canti e danze tradizionali e con una simbologia degna di contenuto: come il saluto alla Rose Bay, prima di lasciare il suolo, quando l'anziano aborigeno Uncle Allen Madden ha donato a Benedetto XVI un passaporto per le terre aborigene e un antico bastone di legno intarsiato. Festa che sta a indicare gli 'anziani' custodi della zona che danno il benvenuto all'ospite inteso non come colonizzatore ma amico e padre spirituale. E davanti alla gioventù di tutto il mondo, ai giovani speranza e futuro dell'umanità, il Papa parla chiaramente: "Forse con riluttanza - dice - giungiamo ad ammettere che vi sono anche delle ferite che segnano la superficie della terra: l'erosione, la deforestazione, lo sperpero delle risorse minerali e marine per alimentare un insaziabile consumismo". E' un appello forte alla tutela del Creato, tema caro a Benedetto XVI, che già nell'aereo che lo portava in Australia aveva lasciato intendere la sua sensibilità verso l’argomento. "La meravigliosa creazione di Dio - sottolinea il Papa - viene talvolta sperimentata come una realtà quasi ostile per i suoi custodi, persino come qualcosa di pericoloso. Come può ciò che è 'buono' apparire così minaccioso?", si domanda il Santo Padre. Dalle ferite all'ambiente naturale a quelle sociali il passo, per il Pontefice, è breve. "Scopriamo che non soltanto l'ambiente naturale, ma anche quello sociale - l'habitat che ci creiamo noi stessi - ha le sue cicatrici - afferma -, ferite che stanno ad indicare che qualcosa non è a posto. Anche qui, nelle nostre vite personali e nelle nostre comunità - prosegue il Papa -, possiamo incontrare ostilità a volte pericolose; un veleno che minaccia di corrodere ciò che è buono, riplasmare ciò che siamo e distorcere lo scopo per il quale siamo stati creati. Gli esempi abbondano, come voi ben sapete". E Benedetto XVI elenca: "L'alcool e l'abuso di droghe, l'esaltazione della violenza e il degrado sessuale, presentati spesso dalla televisione e da internet come divertimento". Un'analisi che arriva fino alla condanna del relativismo e del secolarismo. "Quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l'ordine naturale, lo scopo e il 'bene' comincia a svanire - ammonisce -: ciò che ostentatamente è stato promosso come umana ingegnosità si è ben presto manifestato come follia, avidità e sfruttamento egoistico". "Il nostro mondo si è stancato dell'avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte ipocrite, e della pena di false promesse", sottolinea quindi il Papa teologo. Che conclude: "Come può essere che la violenza domestica tormenti tante madri e bambini? Come può essere che lo spazio umano più bello e sacro, il grembo materno (un chiaro riferimento all’aborto, ndr), sia diventato luogo di violenza indicibile?". Suggestivo l'arrivo del Pontefice a bordo dell'imbarcazione della Captain Cook Cruises 'Sydney 2000'. A bordo, insieme al Papa, anche 16 giovani (12 dei diversi continenti e 4 dall'Australia) con i quali Benedetto XVI ha scambiato qualche parola, non nascondendo di aver avuto paura di affrontare un volo così lungo come quello da Roma all’Australia, cioè da un capo all’altro del globo. Una guida ha mostrato al Santo Padre i diversi luoghi che si trovano da una baia all'altra. Un leggero venticello ha 'accarezzato' il viso del Pontefice, sorridente, sereno e felice per la festa ricevuta. All'arrivo a Barangaroo, Benedetto XVI è salito sulla papamobile per salutare i giovani, attraversando i diversi settori tra due ali di folla.

mercoledì 16 luglio 2008

Le tante bugie sui risultati della legge sull’aborto

Smascherate le valutazioni della regione Emilia Romagna



di Antonio Gaspari
articolo tratto da www.zenit.org

ROMA, venerdì, 11 luglio 2008 (ZENIT.org).- In una lettera inviata all’Assessore regionale alla Sanità, Giovanni Bissoni, e a tutti i consiglieri regionali, l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ed in particolare il Servizio Maternità Difficile hanno contestato le valutazioni positive della regione Emilia Romagna in relazione all’applicazione della legge 194 in materia di aborti.

Circa la “Relazione sull’interruzione volontaria di gravidanza in Emilia-Romagna nel 2007”, resa nota di recente, l’associazione fondata da don Oreste Benzi ha commentato che “è un orrore che nel corso del 2007 siano stati soppressi con l’aborto in Emilia Romagna ben 11.274 bambini/e”.

Secondo l’associazione guidata attualmente da Giovanni Paolo Ramonda, è una “magra consolazione il fatto che gli aborti in Emilia-Romagna siano calati dal 2006 al 2007, e quindi sono morti 184 bambini in meno”.

“Purtroppo – si constata – questo dato positivo non basta a dire che c’è una tendenza alla riduzione degli aborti nella nostra regione; anzi, oggi è vero il contrario”.

Secondo la Comunità Giovanni XXIII, “se si analizza il trend degli ultimi anni si vede che la tendenza complessiva è di leggera crescita: gli aborti in regione hanno avuto il loro minimo nel 1995 (10.598), sono stati meno di 11.000 per tutta la seconda metà degli anni ’90, mentre dal 2000 sono costantemente sopra questa soglia. Mediamente dunque in questi 12 anni c’è stata una crescita dello 0,5% ogni anno”.

“Per di più – precisa l’associazione – a partire dal 2000 anche nella nostra regione è in vendita la ‘pillola del giorno dopo’, e anch’essa senz’altro provoca degli aborti, anche se in numero non facilmente quantificabile. Il numero di confezioni vendute di questo prodotto però è molto aumentato in questi anni, e ragionevolmente oggi vi sono almeno alcune centinaia di aborti (ma più probabilmente migliaia!) che sono avvenuti in questo modo”.

Inoltre, nella lettera inviata all’Assessore ed ai consiglieri regionali si osserva che il dato più significativo rimane l’elevato numero di aborti, cioè 11.274 aborti, il ché equivale a dire che ogni giorno in Emilia Romagna scompare con questa pratica un numero di bambini (30) superiore a quello di una classe scolastica.

I promotori del Servizio Maternità Difficile fanno rilevare che “non c’è nessun'altra causa che faccia morire un così elevato numero di piccoli sul nostro territorio. L’aborto è la terza causa di morte in regione, dopo le malattie del sistema cardicircolatorio e i tumori”.

L’associazione rileva che nonostante l’alto numero di consultori, la capillare informazione contraccettiva, le diverse tutele previste per le donne incinte, in Emilia-Romagna “si abortisce tanto, molto più che in altre regioni”.

Il rapporto di abortività, misurato tra il numero di aborti ed il numero di bambini nati, è di 277,4, e risulta 2,4 volte superiore rispetto alla provincia autonoma di Bolzano, e quasi il doppio rispetto al vicino Veneto.

C’è da considerare poi che nella relazione annuale i tecnici della regione calcolano il rapporto di abortività facendo riferimento al numero di aborti effettuati nel territorio regionale da donne residenti.

“Con questo metodo – precisano i rappresentanti della Comunità Giovanni XXIII – il rapporto risulta più basso di quello effettivo; poi questo dato, in modo scorretto, viene messo a confronto con il rapporto di abortività medio nazionale: in questo modo il rapporto di abortività regionale appare più basso del reale e circa pari al dato medio nazionale”.

Gli esperti del Servizio Maternità Difficile hanno fanno notare che anche il tasso di abortività (numero di aborti / numero di donne in età fertile), pari a 11,9, è “molto più alto in Emilia-Romagna che altrove, addirittura è il più alto a livello nazionale, del 30% superiore al dato medio nazionale”.

Un altro dato preoccupante è quello degli aborti ripetuti, cioè il 29,3%, una percentuale in aumento rispetto agli anni passati. Anche in questo caso l’Emilia Romagna è ai primi posti in Italia.

Preoccupate anche il dato delle donne straniere che abortiscono, che è passato dalle 4.426 donne del 2006 alle 4.585 del 2007.

Nella gran parte del territorio regionale i pochi aiuti rivolti alle maternità difficili sono rivolti esclusivamente alle donne residenti nel comune a cui si rivolgono. Nulla invece per coloro che risiedono in un luogo diverso, per non parlare di chi risiede all’estero.

L’Associazione Comunità Giovanni XXIII ha denunciato anche il paradossale trattamento economico, secondo cui l’intervento abortivo è sempre assicurato gratuitamente, mentre per visite ed esami legati alla gravidanza e persino il parto, in alcuni casi è a pagamento.

Per non parlare di chi ritrovandosi incinta perde il lavoro e talvolta anche la casa, come nel caso delle badanti.

“Come si fa allora a parlare di libera scelta?”, hanno sottolineato i rappresentanti della Giovanni XXIII, ed hanno aggiunto: “E’ evidente come per queste donne l’unica proposta delle istituzioni resta l’aborto ed è testimoniato dai 2.122 aborti di non residenti”.

Secondo l’associazione fondata da don Benzi, “ci troviamo di fronte a una vera e propria situazione di emergenza, per cui occorrono interventi immediati e incisivi, che invece oggi mancano”.

L’associazione chiede pertanto di sapere e rilevare in particolare “quante sono le risorse che i consultori hanno a disposizione in termini di tempi, soldi, procedure, per aiutare le maternità difficili; quanti sono e come sono stati impiegati i fondi pubblici erogati dagli enti locali per sostenere le donne con problemi tali da pensare all’aborto”.

“Quali sono gli operatori che la donna incontra; quali sono le competenze specifiche di questi operatori, e in particolare come sono stati formati alla relazione d’aiuto verso la donna incinta in difficoltà; nella programmazione degli appuntamenti quanto tempo è stato riservato per ogni colloquio”.

Si chiede inoltre di sapere quante sono state le donne che nel corso del 2007 (e se possibile anche degli anni precedenti) si sono rivolte al consultorio per abortire e poi hanno scelto di continuare la gravidanza, e quali sono stati gli aiuti che il consultorio ha proposto loro per ottenere tale risultato in relazione alla problematica avanzata.

In conclusione l’associazione chiede se “nei consultori e in tutti gli altri enti locali (servizi sociali, ospedali…) gli operatori che incontrano le donne incinte si schierino dichiaratamente a favore della prosecuzione della gravidanza, in conformità a quanto dice al Legge 194, se propongano in ogni colloquio alternative all’aborto, e come mai invece ci sono ancora oggi operatori, come a noi testimoniano tante donne, che suggeriscono o peggio fanno pressioni sulle donne perché abortiscano”.