mercoledì 16 luglio 2008

Le tante bugie sui risultati della legge sull’aborto

Smascherate le valutazioni della regione Emilia Romagna



di Antonio Gaspari
articolo tratto da www.zenit.org

ROMA, venerdì, 11 luglio 2008 (ZENIT.org).- In una lettera inviata all’Assessore regionale alla Sanità, Giovanni Bissoni, e a tutti i consiglieri regionali, l’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ed in particolare il Servizio Maternità Difficile hanno contestato le valutazioni positive della regione Emilia Romagna in relazione all’applicazione della legge 194 in materia di aborti.

Circa la “Relazione sull’interruzione volontaria di gravidanza in Emilia-Romagna nel 2007”, resa nota di recente, l’associazione fondata da don Oreste Benzi ha commentato che “è un orrore che nel corso del 2007 siano stati soppressi con l’aborto in Emilia Romagna ben 11.274 bambini/e”.

Secondo l’associazione guidata attualmente da Giovanni Paolo Ramonda, è una “magra consolazione il fatto che gli aborti in Emilia-Romagna siano calati dal 2006 al 2007, e quindi sono morti 184 bambini in meno”.

“Purtroppo – si constata – questo dato positivo non basta a dire che c’è una tendenza alla riduzione degli aborti nella nostra regione; anzi, oggi è vero il contrario”.

Secondo la Comunità Giovanni XXIII, “se si analizza il trend degli ultimi anni si vede che la tendenza complessiva è di leggera crescita: gli aborti in regione hanno avuto il loro minimo nel 1995 (10.598), sono stati meno di 11.000 per tutta la seconda metà degli anni ’90, mentre dal 2000 sono costantemente sopra questa soglia. Mediamente dunque in questi 12 anni c’è stata una crescita dello 0,5% ogni anno”.

“Per di più – precisa l’associazione – a partire dal 2000 anche nella nostra regione è in vendita la ‘pillola del giorno dopo’, e anch’essa senz’altro provoca degli aborti, anche se in numero non facilmente quantificabile. Il numero di confezioni vendute di questo prodotto però è molto aumentato in questi anni, e ragionevolmente oggi vi sono almeno alcune centinaia di aborti (ma più probabilmente migliaia!) che sono avvenuti in questo modo”.

Inoltre, nella lettera inviata all’Assessore ed ai consiglieri regionali si osserva che il dato più significativo rimane l’elevato numero di aborti, cioè 11.274 aborti, il ché equivale a dire che ogni giorno in Emilia Romagna scompare con questa pratica un numero di bambini (30) superiore a quello di una classe scolastica.

I promotori del Servizio Maternità Difficile fanno rilevare che “non c’è nessun'altra causa che faccia morire un così elevato numero di piccoli sul nostro territorio. L’aborto è la terza causa di morte in regione, dopo le malattie del sistema cardicircolatorio e i tumori”.

L’associazione rileva che nonostante l’alto numero di consultori, la capillare informazione contraccettiva, le diverse tutele previste per le donne incinte, in Emilia-Romagna “si abortisce tanto, molto più che in altre regioni”.

Il rapporto di abortività, misurato tra il numero di aborti ed il numero di bambini nati, è di 277,4, e risulta 2,4 volte superiore rispetto alla provincia autonoma di Bolzano, e quasi il doppio rispetto al vicino Veneto.

C’è da considerare poi che nella relazione annuale i tecnici della regione calcolano il rapporto di abortività facendo riferimento al numero di aborti effettuati nel territorio regionale da donne residenti.

“Con questo metodo – precisano i rappresentanti della Comunità Giovanni XXIII – il rapporto risulta più basso di quello effettivo; poi questo dato, in modo scorretto, viene messo a confronto con il rapporto di abortività medio nazionale: in questo modo il rapporto di abortività regionale appare più basso del reale e circa pari al dato medio nazionale”.

Gli esperti del Servizio Maternità Difficile hanno fanno notare che anche il tasso di abortività (numero di aborti / numero di donne in età fertile), pari a 11,9, è “molto più alto in Emilia-Romagna che altrove, addirittura è il più alto a livello nazionale, del 30% superiore al dato medio nazionale”.

Un altro dato preoccupante è quello degli aborti ripetuti, cioè il 29,3%, una percentuale in aumento rispetto agli anni passati. Anche in questo caso l’Emilia Romagna è ai primi posti in Italia.

Preoccupate anche il dato delle donne straniere che abortiscono, che è passato dalle 4.426 donne del 2006 alle 4.585 del 2007.

Nella gran parte del territorio regionale i pochi aiuti rivolti alle maternità difficili sono rivolti esclusivamente alle donne residenti nel comune a cui si rivolgono. Nulla invece per coloro che risiedono in un luogo diverso, per non parlare di chi risiede all’estero.

L’Associazione Comunità Giovanni XXIII ha denunciato anche il paradossale trattamento economico, secondo cui l’intervento abortivo è sempre assicurato gratuitamente, mentre per visite ed esami legati alla gravidanza e persino il parto, in alcuni casi è a pagamento.

Per non parlare di chi ritrovandosi incinta perde il lavoro e talvolta anche la casa, come nel caso delle badanti.

“Come si fa allora a parlare di libera scelta?”, hanno sottolineato i rappresentanti della Giovanni XXIII, ed hanno aggiunto: “E’ evidente come per queste donne l’unica proposta delle istituzioni resta l’aborto ed è testimoniato dai 2.122 aborti di non residenti”.

Secondo l’associazione fondata da don Benzi, “ci troviamo di fronte a una vera e propria situazione di emergenza, per cui occorrono interventi immediati e incisivi, che invece oggi mancano”.

L’associazione chiede pertanto di sapere e rilevare in particolare “quante sono le risorse che i consultori hanno a disposizione in termini di tempi, soldi, procedure, per aiutare le maternità difficili; quanti sono e come sono stati impiegati i fondi pubblici erogati dagli enti locali per sostenere le donne con problemi tali da pensare all’aborto”.

“Quali sono gli operatori che la donna incontra; quali sono le competenze specifiche di questi operatori, e in particolare come sono stati formati alla relazione d’aiuto verso la donna incinta in difficoltà; nella programmazione degli appuntamenti quanto tempo è stato riservato per ogni colloquio”.

Si chiede inoltre di sapere quante sono state le donne che nel corso del 2007 (e se possibile anche degli anni precedenti) si sono rivolte al consultorio per abortire e poi hanno scelto di continuare la gravidanza, e quali sono stati gli aiuti che il consultorio ha proposto loro per ottenere tale risultato in relazione alla problematica avanzata.

In conclusione l’associazione chiede se “nei consultori e in tutti gli altri enti locali (servizi sociali, ospedali…) gli operatori che incontrano le donne incinte si schierino dichiaratamente a favore della prosecuzione della gravidanza, in conformità a quanto dice al Legge 194, se propongano in ogni colloquio alternative all’aborto, e come mai invece ci sono ancora oggi operatori, come a noi testimoniano tante donne, che suggeriscono o peggio fanno pressioni sulle donne perché abortiscano”.

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