sabato 18 aprile 2009

Un bilancio 'generazionale' del motu proprio secondo un liturgista "di rottura"

tratto da MESSAINLATINO.IT

Nel blog di Matias Augé è pubblicato un post che riporta la conclusione di un più ampio articolo comparso sull'ultimo numero di Concilium, la rivista che, come ci ricorda l'abbé Barthe, esprime l'ideologia del Concilio Vaticano II come rottura e nuovo inizio della Chiesa rispetto ad un passato da rigettare. Il titolo dell'articolo in questione è programmatico ("Un bilancio del motu proprio Summorum pontificum. Quattro paradossi e una intenzione dimenticata") e ne è autore il liturgista Andrea Grillo. Famigerato perché suoi sono alcuni degli attacchi più virulenti alla liberalizzazione dell'antico rito e sempre lui, che nella diocesi di origine (Savona) esercita, benché laico, un potere considerevole, fu l'eminenza grigia (anzi, nemmeno celata, ma palese) che ispirò quel famoso provvedimento dell'allora amministratore diocesano che semplicemente vietò l'applicazione del motu proprio del Papa nella diocesi... Con quanta legittimità, lo lasciamo giudicare anche al lettore più ignaro di diritto canonico e di ecclesiologia. Per inciso, quel divieto, a quanto sembra, vige tuttora con il vescovo Lupi.
Ma torniamo all'argomento: ecco la parte dell'articolo di Grillo pubblicata da don Augé. Non si può negare che sviluppi argomenti nuovi per negare legittimità al motu proprio: a quanto pare non è ancora finita la scorta di specchi da scalare...
Lo “sviluppo organico” della tradizione liturgica comporta inevitabili “svolte”, con una continuità che ha bisogno di alcune vitali discontinuità. Come accade alle generazioni – dove il figlio è pienamente figlio solo quando il padre non gli è più vicino – un rito di Paolo VI, che avesse sempre accanto il rito di Pio V, resterebbe perennemente infantile e fragile, non crescerebbe mai fino alla maturità; mentre un rito di Pio V che non si rassegnasse a perdersi e a ritrovarsi nel figlio, cadrebbe in un paternalismo invadente e in un moralismo senza vera fiducia.Forse ciò che oggi ci manca in misura maggiore è proprio la coscienza di una tale dimensione generazionale e pedagogica del concilio Vaticano II, che era ancora cosciente di avere bisogno di figli e di nipoti perché la tradizione antica potesse avere un seguito e che pertanto poteva considerare il proprio munus come “inizio di un inizio” e non semplicemente come “continuazione di un traditum”, senza la pretesa di “cominciare ex novo”, ovviamente, ma anche senza la presunzione di poter “continuare senza novità”.Il conflitto di interpretazioni che oggi attraversa pericolosamente la coscienza ecclesiale in re liturgica dipende in larga parte dalla mancanza di questa autentica preoccupazione tradizionale “per i figli e per i nipoti”, che noi oggi possiamo recuperare riscoprendo accuratamente le evidenze che hanno guidato il Movimento liturgico originario e la riforma liturgica a impostare una seria risposta alla “questione liturgica”: che la liturgia cristiana possa ancora “generare fede”, possa ancora essere fons di azione ecclesiale e di spiritualità personale, questa è l’unica speranza che la riforma liturgica aveva come obiettivo e che noi non possiamo né ignorare né sottovalutare.Tale istanza non ha cessato di interrogarci e di provocarci, purché non abbiamo deciso – ad un tempo disperatamente e presuntuosamente – di essere gli ultimi cristiani ancora fedeli ad una grande tradizione (solo) antica, ridotta alla figura di un passato prezioso da chiudere in un museo, con aria condizionata e sistemi di sicurezza, ma senza vita e senza figli.
Traduciamo il Grillo in soldoni: il rito di S. Pio V va abbandonato del tutto, perché se esso restasse accanto a quello di Paolo VI, quest'ultimo resterebbe sotto tutela ed impedito di svilupparsi e librarsi in llibertà, così frustrando la giusta e naturale inclinazione di ogni generazione ad affrancarsi dalla figura paterna e a costruire qualcosa di nuovo.
Tra le mille altre obiezioni che si potrebbero opporre a questo specioso argomento (e che lasciamo ai nostri volenterosi commentatori), vogliamo dire solo questo, restando nel discorso "generazionale" lambiccato dal Grillo: è vero che c'è uno scontro tra generazioni, ma non perché i figli si sentano zavorrati dai padri e dal loro rito obsoleto: noi infatti siamo i nipoti, figli di quei figli alla Grillo che hanno dilapidato e buttato via, per cieca presunzione, l'ingente patrimonio dei nonni. Ora noi, eredi dei debiti e delle follie della generazione precedente (di cui Grillo è loquace esponente), non facciamo altro che tentare di recuperare una piccola parte delle ricchezze di famiglia, di cui i nostri padri ci hanno ingiustamente privato.

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