articolo tratto da www.effedieffe.com
Una lettrice, che ringraziamo, ci manda una sua breve riflessione su Chiara Lubich, speculare a quella del nostro editore in occasione della morte di Papa Wojtyla [(vedi «Se il mondo vi odia»); chi detiene il quasi monopolio dell’informazione, condizionando col ricatto della pubblicità e della distribuzione la piccola parte rimasta fuori, stabilisce la notorietà o l’anonimato dei personaggi e la loro popolarità o impopolarità]; la pubblichiamo in attesa di ulteriori approfondimenti.
Dubbi su Chiara Lubich la meraviglia del terzo millennnio
Sono stati funerali da vero trionfo, come tutta la sua vita, quella di Chiara Lubich, la fondatrice dei Focolarini, una vita di una «escalation» umana, spirituale, carismatica, ecc. degna dei più grandi manager, sempre condotta all’insegna del successo, del trionfo, dell’applauso, dell’ammirazione a tal punto che sembra doveroso fermarsi per riflettere ed esprimere qualche seria perplessità.
Perplessità che, appena si osa timidamente esporre, viene travolta dalla retorica, classica risposta che ti tappa la bocca: «Allora vuol dire che sei invidiosa».
Ebbene, sì!
Concedetemi la sincerità e la trasparenza.
Come si fa a non essere invidiosi di una vita cristiana così impegnata, condotta sempre e costantemente all’insegna del trionfo, del successo, delle immense folle plaudenti di qualsivoglia razza, popolo e religione, una vita davanti alla quale si inchinano umilmente come figli spirituali e devoti, non solo comuni laici, ma anche preti, suore, vescovi, cardinali, dichiarandosi tutti umili discepoli di una donna così eccezionale che ha portato alla Chiesa un rinnovamento di tale portata! Quale rinnovamento, viene da domandarsi?
Dove si possono riscontrare i frutti di questa spiritualità così ostentata che mai ha trovato alcuna contraddizione, alcun intoppo, alcuna calunnia, ma che è stata tutta una escalation di successo?
Le nostre sante martiri cristiane, Agata, Lucia, Cecilia, Agnese, nemmeno le più recenti che non hanno subito il martirio, Teresina del Bambin Gesù, Gemma Galvani, Caterina da Siena, Edith Stein, Madre Teresa di Calcutta, ecc., tutte segnate comunque dalla croce, dalle prove anche esterne della vita, da una umiltà straordinaria, sono nulla al suo confronto.
Anche i nostri santi diventati tali attraverso persecuzioni e contraddizioni previste dallo stesso Cristo per i suoi figli fedeli «come hanno perseguitato me, così perseguiteranno anche voi» (Giovanni15,18 - Matteo 10,16 - Marco 10,29 - Luca 11,49), sono ormai fuori moda davanti alla grandezza di Chiara Lubich, che propone un nuovo modello di santità all’insegna del successo ottenuto a forza di livellare tutte le differenze per vivere l’uguaglianza, in modo da piacere a tutti, non dispiacere a nessuno, e privilegiare l’unità rispetto a qualunque altro carisma, anche fondazionale.
Ci si domanda, infatti, quale altra spiritualità, oltre al proprio carisma fondazionale può ricavare da questa proposta, ad esempio, una vera suora domenicana, un vero frate francescano, un vero figlio di San Camillo, un vero Gesuita, un illustre vescovo o cardinale teologo di Santa Romana Chiesa?
Forse quello di riconoscersi tutti uniti, tutti fratelli, nelle «mega-mariapoli focolarine» che hanno il potere di «gasare» anche i cuori più demotivati a forza di canti e di incitamenti, livellando e omologando tutti i carismi a tal punto da ignorare non solo le differenze peculiari che caratterizzano un Carmelitano da un Legionario di Cristo, ad esempio, ma perfino le ben più profonde differenze dottrinali, teologiche e dogmatiche che distinguono un cattolico da un luterano, un cristiano da un musulmano, un induista da un buddista, il Dalai Lama dal Papa, ecc.
Tutto viene livellato in questa fantastica spiritualità pluri-ecumenica, dove tutti possono far parte dello stesso «calderone spirituale» nel quale vengono «purificate» e passate al crogiuolo le differenze specifiche che rappresentano l’unico motivo di rottura con la tanto conclamata «unità» voluta da Chiara Lubich, per essere tutti, indistintamente rivestiti dell’unica tunica ecumenica, ad una sola condizione: «Che si vogliano bene in cuor loro, che siano uniti dall’amore» a tal punto che questo desiderio li rende degni di ricevere lo stesso Cristo nell’Ostia Santa, senza distinzione alcuna, perché ciascuno è libero di continuare a professare la propria fede nella propria religione!
Altro non voglio aggiungere, e se i fatti mi devono smentire, ben vengano.
Li terrò nella dovuta considerazione prima di decidermi a far parte dello stesso coro belante e osannante.
Patrizia Stella
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